Circa dieci anni fa si iniziò a parlare con insistenza di “Norwegian Disco” grazie a Lindstrøm, Prins Thomas e un terzo produttore che qualcuno scambiava erroneamente per il ben più noto DJ statunitense Todd Terry, visto l’alias omofono (il magazine tedesco Groove dedica loro la copertina del numero 96, Settembre/Ottobre 2005). La fortuna discografica bacia presto i primi due mentre l’altro resta un po’ in disparte, limitando le apparizioni e lavorando prevalentemente come remixer. Poi, nel 2012, accade l’inaspettato: “Inspector Norse” diventa un inno sebbene non avesse davvero nulla in più rispetto a decine di altri brani pubblicati in passato e forse anche meglio riusciti, vedi “Love Explosion” o “Disco Lunar Module” di Alden Tyrell. Eppure quelle melodie cheesy posate sul classico basso ottavato fanno di Todd Terje un vero outsider, rincorso da tanti e quasi osannato, perché riesce a raccogliere oltre tre milioni di visualizzazioni su YouTube ma nel contempo a vendere una quantità considerevole di dischi (cosa alquanto rara oggi). Seguono altri brani che, prevedibilmente, guardano nella stessa direzione: con “Lanzarote”, “Strandbar” e “Spiral” il norvegese recupera il terreno perduto in partenza coi connazionali. Ora, così come recita lapalissiano il titolo, è tempo dell’Album, che non è, come qualcuno può supporre, un’operazione commerciale studiata per saziare il registratore di cassa facendo leva su una manciata di pezzi indovinati attorniati da varie inutilità. Terje Olsen non è uno che improvvisa, e la sua formazione da musicista qui emerge nitidamente: il melodioso e celestiale coro degli archi di “Leisure Suit Preben” sovrapposto al geometrismo dei bassi, la persuasiva vena Funk/Soul di “Preben Goes To Acapulco” piena di meritevoli virtuosismi, la dimensione caraibica evocata da “Svensk Sås” e “Alfonso Muskedunder”: il nordico sa suonare per davvero e non scimmiotta ricorrendo a file MIDI o scopiazzando qua e là dai successi di turno. In “Delorean Dynamite”, forse tra le migliori della playlist, fa scorrere un basso pruriginoso su lead Synth Pop che ne fanno una sorta di summa tra il Giorgio Moroder di “From Here To Eternity” e il Patrick Cowley di “Megatron Man”, a cui si aggiunge qualche frecciatina ai Daft Punk di “Random Access Memories”, per il remake (in chiave slow ballad) di “Johnny And Mary” del compianto Robert Palmer si lascia affiancare nientemeno che da Bryan Ferry, le due parti di “Swing Star” giocano sull’approccio vintage strizzando l’occhio al filone che negli ultimi anni è stato definito Dreamwave, “Oh Joy” paga (ancora) il tributo moroderiano. All’appello non mancano ovviamente le citate “Strandbar” ed “Inspector Norse”, inserite quasi per rammentare a chi ascolta che l’autore è proprio “quello di”. Con un piede nel passato ed uno del presente, Todd Terje elabora citazioni di continuo e le offre sapientemente al pubblico del nuovo millennio. A coronare il tutto l’artwork di Bendik Kaltenborn, ormai un “lemma grafico” che identifica l’exploit del norvegese.