Che la Disco degli anni Settanta e l’Electro degli Ottanta non sia mai morta non è certo mistero: sono decine le labels sparse per il globo che, ormai da oltre un decennio, operano per tenere vivi questi frangenti sonori supportando gli artisti contemporanei capaci di rileggerli con coscienza e talento. C’è qualcuno che però, ancor prima di altri, ha visto lungo su quello che poteva essere ancora sviluppato dall’Italo Disco o dalla Discomusic. Si chiama Daniel Wang ed anche se in Italia il suo nome suonerà nuovo per la maggior parte dei DJs e dei frequentatori dei clubs, la sua attività all’interno della sfera musicale è pluridecennale. Californiano di nascita ma dalle origini chiaramente orientali, Wang è tra i primi a rivalutare il suono Disco degli anni Settanta in un periodo (i primissimi anni Novanta) in cui quel tipo di discografia non ispirava pressochè nulla poichè semplicemente considerata vecchia. “Fu la noiosa scena discografica dei tempi a spingermi a fondare la Balihu col preciso intento di far incontrare, ancora una volta ma in modo inedito, la Disco e la House” dice parlando della sua piccola ma incredibile etichetta. E continua: “Ero deluso dai loops tutti uguali. Desideravo unire lo spirito del Philly Sound ai beats della Italo Disco”. Riesce a tirar fuori uno stile rievocativo che attinge dal passato per creare musica per il futuro (e non è affatto un paradosso), in cui i synth anni Ottanta sposano i grooves dei Novanta, dove i sapori Disco convivono col geometrismo dell’Electro. Wang sa come dosare ritmo e melodia, come interfacciare il vintage al modernismo, forgiando uno stile inusuale almeno quanto rappresentativo. Balihu, nata nell’ormai lontano 1993, è una ‘tag’ in mezzo a migliaia di pubblicazioni troppo simili tra loro. Ma il “Best Of 1993-2008” esce per l’olandese Rush Hour Recordings. “Certamente Balihu rimane la mia label, la mia ‘carta di credito’ che rappresenta le mie credenziali, ma non ha un ufficio e dei dipendenti. Non potendo curare tutto da solo (promozione, distribuzione ed altro che occorre per coordinare al meglio qualsiasi uscita in cui si crede e si investe denaro) ho dovuto cercare aiuto altrove. Rush Hour mi supporta da tantissimi anni, sin da quando Balihu era davvero sconosciuta in Europa, e si è sempre comportata correttamente ed onestamente. Quando Christiaan (il boss di Rush Hour, ndr) è venuto a Berlino accompagnato dal suo graphic designer, non ho pensato nemmeno per un attimo di rifiutare l’offerta”. Balihu guarda ben oltre il trend della Minimal che Berlino, città in cui l’artista ha fissato la sua dimora da qualche anno, ha imposto. “Non sono affatto convinto che Berlino rimarrà Minimal. Credo invece che la capitale tedesca acquisterà sempre più velocemente i tratti internazionali di una cultura che tenderà ad inglobare diverse realtà al suo interno. Negli anni Ottanta, ad esempio, era frequentata massicciamente dai fans della musica Jazz ed Hip Hop ma nei Novanta si trasformò nel baricentro del fenomeno Rave. La musica elettronica offre infiniti sviluppi produttivi, che non sono necessariamente connessi alla Minimal Techno”. “The Best Of Balihu 1993-2008” offre una vera retrospettiva di Balihu ripescando tracce ormai introvabili (“Like Some Dream”, “Warped”, “The Twirl”, “Disco Delay”) in cui spesso sono celati campionamenti tratti da vecchie incisioni Funk e Soul. “Lavoro con equipment analogico, anche se sono del parere che il risultato finale dipende soprattutto da quel che realizzi e non dal mezzo che adoperi. Non uso il computer, per registrare ho un Hard Disk recorder a 32 tracce della Korg dotato di un piccolo schermo lcd. Penso anche a tutti quei producers che lavorano solo col pc, editando i ‘colori’ sul monitor: l’effetto è gradevole ma il risultato appare meccanico e ripetitivo”. Il suo ‘Best Of’, da pochissimi giorni nei negozi, è disponibile sia in formato vinile (due doppi 12″) che in formato CD: “E’ triste, ma devo essere onesto: mi piace suonare anche con i CD. Certo, il suono che ne deriva non è caldo al 100% come quello dei vinili, ma il formato CD mi dà la facoltà di portare con me molta più musica rispetto ai più ingombranti e preziosi vinili. Proprio in questi giorni ho ricevuto la versione rimasterizzata di “Cerrone’s Paradise” di Cerrone: suona molto meglio rispetto ai vinili degli anni Settanta!”
-Shemale “Supreme Beings” (Falco Invernale Records): a quasi un anno dall’esordio ritorna la Falco Invernale con la sua seconda prova, la cui disponibilità è messa a disposizione di soli 300 eletti. Enigmatica figura contraddistinta da uno pseudonimo che mette in forse anche l’appartenenza ad un genere sessuale ben definito, Shemale orchestra minuziosamente il contenuto di cinque viaggi in quell’Ade sonoro, la cui soglia fu già oltrepassata attraverso alcune apparizioni su Bunker. “Hyborian” è caratterizzata da una penetrante oscurità, scandita da un ritmo che, seppur appena accennato, ne segna il suo evolversi. Ambient funereo quello di “Blood Ritual”, coordinato dal drumkit della TR-808: la cassa, il rullante, l’open si compattano in un mondo che di musicale ha ben poco. Sonorità Dark Ambient sono versate anche nelle ideali provette di “Evil Winds”, attraverso cui sembra di ascoltare il vento che spira su terre lontane, su pianeti al di fuori della nostra galassia. Shemale fa parte di un mondo singolare, a sè stante, che parla per mezzo della sua musica, un mix tra la soundtrack di un film horror ed uno di fantascienza. In “North Sea Funeral” è come se i Goblin incontrassero i Coil per celebrare il funerale del Mar del Nord, inghiottito dal Nulla. Marcia altrettanto mesta quella di “Supreme Beings”, coi rintocchi di frequenze basse che sembrano passi di una creatura a noi sconosciuta. Un lavoro che, dopo averlo ascoltato con attenzione, potrebbe lasciarvi un senso di torpore e di inquietudine. Saremo davvero i soli a popolare l’universo?
-Savage “Twothousandnine” (I Venti d’Azzurro Records): inizia nell’ormai lontano 1983 con “To Miami” realizzato con Zucchero Fornaciari (con cui formava i Taxi) ma il grande successo arriva con “Don’t Cry Tonight” ed “Only You” (quest’ultima abilmente ripresa nel 2000 dagli Ural 13 Diktators per “Name Of The Game”), ancora oggi considerati dei cult Italo Disco che non temono il passare degli anni. Poi, intuendo le potenzialità che si celano dietro la House e il suo sviluppo in ambito commerciale, fonda la DWA che, negli anni Novanta, si impone come label Eurobeat. Su Roberto Zanetti, alias Savage o Robyx, si potrebbe scrivere un libro intero ma la notizia che in questi giorni desta più clamore nei circuiti internazionali è indubbiamente il suo ritorno alle origini Italo Disco da cui la sua figura è inscindibile. Il nuovo singolo si intitola “Twothousandnine” ed è edito dall’olandese I Venti d’Azzurro che, insieme alle sublabels Delivery ed I.D. Limited, da un paio di anni si adopera per rivalutare la corrente della Dance italiana nata negli anni Ottanta i cui meriti creativi sono ampiamente riconosciuti in tutto il mondo. Quattro le versioni sul vinile, di cui due curate dal bravo Enrico Giuseppe Savino, pronte a ricalcare le melodie romantiche quanto malinconiche tipiche della Dance di Savage. Il formato digitale invece, che esce per l’italiana DWA, contiene altri remix più adatti ai clubs dei giorni nostri.
-The Hasbeens “You And Me” (Clone West Coast): è la terza prova che Alden Tyrell e Mr. Pauli registrano sotto lo pseudonimo The Hasbeens. “You And Me” è Italo Disco rimessa a nuovo, fatta convivere in beats più moderni, ma irresistibilmente pregni di quello storicismo a cui tutte le pubblicazioni Clone sono legate. La versione che prediligo è la Vocal Mix, in cui la parte vocale eseguita (prevedibilmente) al vocoder troneggia sulle melodie a cui i due artisti olandesi ci hanno abituati da tempo. Ps: in rete trovate anche il videoclip diretto da Billy NoMates. Romantic Disco o Sexy Italectro?
-Marcel Knopf “Dusty Dance” (Mo’s Ferry Prod.): quando mixò “Bits To Phono”, nel 2006, teorizzò la Minimal come corrente che avrebbe portato a nuovi scenari. E così è stato, perlomeno in parte. Oggi Knopf fonde ancora House e Techno in un combo perfetto, ma lo fa pensando maggiormente al passato, avvolgendolo con involucri mistici o romantici. La sua musica è piena di riferimenti storici che si sono succeduti negli anni, quegli stessi riferimenti che cerca di sintetizzare in modo passionale ed originale. In “Crazy About”, ad esempio, si ritrova l’anima della House dei primi anni Novanta (avete presente The Fog?) con la voce di Camara che rende perfettamente l’effetto ‘underground’. Altrettanto interessanti altre tappe dell’itinerario di “Dusty Dance”, come “Holpergeist 2.0”, in cui l’autore si sforza di dare risalto all’effettistica applicata a samples vocali, e “Skinny Bitches”, che sembra davvero ispirato dai vecchi Relief (similitudini a Cajmere o Green Velvet si sprecano). Scenari decisamente più modernisti quelli che ci offre mediante “Leave It Alone”, con la voce della bella modella Eva Padberg (già in coppia con Dapayk), sintetizzabile come Tech House post minimalista.
-Randy Barracuda “Randy Barracuda” (Flogsta Danshall): promuovo piacevolmente, ormai da svariati anni, la musica che giunge dall’Europa del Nord, in virtù del suo eludere mode e stereotipi cercando un’identità sempre e solo nell’ego di chi la produce. E’ il caso di Perttu Eino Häkkinen, già artefice (insieme all’amico Jaakko Kestilä) di progetti temerari come V.U.L.V.A. o Imatran Voima. In questo album da solista edito dalla piccola label svedese di Frans Carlqvist, Häkkinen plasma la sua musica omaggiando il Funk sintetico degli anni Ottanta, il Soul, la psichedelia, l’Electro e l’Hip Hop. Inizia sulla gelida materia kraftwerkiana di “Tähtien Lapsi”, prosegue con “Skweee Like A Pig” raggrinzendo i suoni striduli, barcollando tra Funk e Sid style e facendoli strisciare sotto il netto asincronismo della cassa e si assesta su “Hungry For Another Touch” in cui il rimando alle creazioni donaldiane è quasi d’obbligo. Si rimette in cammino con “Overnight Romancin”, ossia Hip Hop abbracciata allo Psycho Funk, legata indissolubilmente agli anni Ottanta, al Breaks e a quello che di recente ci ha sottoposto Seymour Bits. “Ketamine Strut” è ridente Electro accartocciata su sè stessa e punzecchiata da influenze ad 8 bit, “Duck Butter” rallenta le sue pulsazioni riprendendo le caratteristiche dell’Hip Hop di venticinque anni fa, “I Am Coming” sovrappone canti Afro a corposi bassi, “Love Axe/Heavy Metal” chiude sideralmente alla Arpanet. Un pozzo di stili quello di Barracuda, dal quale attinge un pò di questo ed un pò di quello, sfidando ogni logica commerciale e vincendo sul fronte della creatività.
-The Niallist “Remember” (Dissident): quando si tocca un brano storico si rischia, quasi sempre, di snaturare o comunque rovinare irrimediabilmente la magia dell’originale. Rari i casi in cui il remix o il remake è riuscito a tenere testa alla versione originaria, ma devo dire che per l’occasione The Niallist (recentemente all’opera come remixer per Clouded Vision, a cui consiglio di concedere l’ascolto) si è destreggiato piuttosto bene. La sua “Remember” è una sorta di re-edit del classico di Gino Soccio del 1982, sebbene quasi interamente risuonato. La Disco riecheggia nelle campate ritmiche dal gusto moderno, ed anche la parte vocale, ricantata per l’occasione, non tradisce le aspettative. Unica la versione sul 12″ edito dalla sempre coraggiosa Dissident.
-Club Silencio “EP” (Thisisnotanexit): il team milanese dei Club Silencio sbarca con un ottimo extended play ricco di spunti interessanti su Thisisnotanexit, emergente label inglese con tutte le carte in regola per farsi notare. A partire da “Felix”, Cosmic style rivisitato e condotto da un basso che, in alcune sue evoluzioni, ricorda il classico degli Imagination (“Just An Illusion”). Ancora Nu Disco a palla in “Turpe Traxx”, dove gli autori sviscerano anche l’amore per il Funk digitale tipico di progetti che puntano a rivisitare la vecchia Disco in chiave moderna. Nel remix di Sankt Göran il tutto tende ad essere modernizzato grazie ad un beat più lineare e ballereccio, anche se il bravo Dahlström non fa mancare neanche l’apporto melodico attraverso l’uso di celestiali arpeggi. Chiusura all’insegna del Dark invece per “Objectif Venus”, editata dal misterioso Fratelli (che sia Michele Tessadri aka Fratelli Riviera?): il suono si fa cupo e tenebroso tanto da poter essere annoverato nella cosiddetta ‘Disco in slow motion’.
Electric greetz