C’era una volta la Raw Elements. Poi, dalle sue ceneri, nacquero la Dessous e l’ormai blasonata Poker Flat. Nessuno avrebbe mai scommesso su un suo ritorno ma, come si suol dire, ‘mai dire mai’. Ed infatti, a dieci anni dalla sua ultima uscita, Raw Elements resuscita per mano del suo stesso creatore, Stefan Brügesch alias Steve Bug. Una manciata di e.p. vinilici ed ora una compilation per risvegliare una delle prime labels tedesche attivate nell’esplorazione di nuovi confini musicali. “Raw Essentials”, la cui pubblicazione è al momento riservata esclusivamente al formato digitale, celebra un suono che, oltre un decennio addietro, gettò le basi della più moderna tech-house e delle sue successive ed infinite ramificazioni che, nel corso del tempo, si sono trasformate dando vita alla dance elettronica attuale, mix di influenze slegate da ogni possibile etichettatura stilistica. Anticipatore della microhouse che da fenomeno di nicchia si è espanso a livello mondiale, Steve Bug ci permette, attraverso “Raw Essentials”, di sbirciare in quelle che furono le prime alchimie che la sua label, fondata in quel di Amburgo nel sempre più lontano 1995, mise a disposizione delle orecchie più preparate e, soprattutto, desiderose di spingersi in territori all’epoca praticamente inesplorati. Radunando quindici tra le releases più acclamate, tra cui Vincenzo, Superlova, Brunchbox, Märtini Brös, Clever’n’Smart, Dexter Mooer e Stereo Jack, Steve Bug rovista a fondo nella house definita ‘primitiva’ e ‘seminale’. Immancabili alcune delle sue prove migliori come “Rhodes Flash”, “Vertigo” (con Acid Maria), “Honeymoon” (remixata da Russ Gabriel) e la nota “Drives Me Up The Wall” ritoccata da Les Rythmes Digitales, ossia Start Price, in seguito divenuto celebrità nelle vesti di Jacques Lu Cont, Man With Guitar e Thin White Duke. Quella di “Raw Essentials” è forse da considerarsi un’operazione destinata a sondare il mercato prima di un ritorno ufficializzato mediante inediti. Un ascolto attento e consapevole sottolinea il fatto che Steve Bug sia diventato una star internazionale dopo aver seguito un preciso ideale e non per il classico caso di fortuna sfacciata.
-Sven Väth “The Beauty And The Beast” -remixes- (Cocoon): i più giovani avranno qualche difficoltà nel ricordare la versione originale (scritta insieme a Ralf Hildenbeutel) di questo classico di Sven Väth targato 1994. Una hit internazionale che, dopo quasi quindici anni, viene data in pasto ad un Eric Prydz, per fortuna meno commerciale del solito. Sul lato b un re-edit del remix (già noto) degli Underworld, scaltri come sempre nel dosare sapientemente house e techno in un connubio vincente. Consiglio comunque di rispolverare l’Original (ossia “Harlequin – The Beauty And The Beast”), purtroppo non disponibile sul mix edito dalla Cocoon.
-Akustikrausch “Ferrit” (Styledriver): questo Styledriver #004 ha già dalla sua parte il supporto di Ada, Metope, Dave Tarrida e Funk D’Void, probabilmente per le sue pizzicate minimali, per un terzinato in chiave deep o per rumorose strisciate alla Alter Ego. Io invece, del nuovo lavoro di Andreas Wendorf, adoro essenzialmente il Beroshima Remix, un’escursione techno-funky-electro che tanto ricorda il vecchio Legowelt di storici quanto introvabili Bunker (“Pimpshifter”, “Wirtschaftswunder”). Chiaramente da pollice in su.
-Her Bad Habit “I Don’t Know (What You’re Doing To Me)” (Citinite): lasciando nel recente passato l’intrigante avventura di Gosub, la label londinese diretta da Manuel Sepulveda ritorna col nuovo progetto di Jimmy Edgar, nome che gli amanti dell’elettronica meno convenzionale hanno conosciuto mediante la Warp. Her Bad Habit punta più alla dance, seppur ricamata su elementi funky e jazzy (“Lock Me Up”, “My Bad Habit” e “Jamaica Center” sembrano proprio uscite da vecchi telefilm anni ottanta). “Computer Time”, invece, calca la mano su un’electro sinuosa, un mix tra il citato Gosub e le produzioni Delsin. Chiusura in grande stile poi con “Do”, autentico manifesto di new-disco-funky-electro, paragonabile, senza timore, a Seymour Bits, Comtron e Putsch ’79.
-autoKratz “Pardon Garçon/French Girls Play Guitar” (Kitsuné): per la terza avventura sulla parigina Kitsuné, gli autoKratz (David Cox e Russell Crank) scelgono due brani di cui mi interessa segnalare soprattutto “French Girls Play Guitar” in cui, ad intrecci ritmici dominati dal distorsore fanno eco melodie un pò epiche e mini arpeggi. Di minor impatto
“Pardon Garçon”, un pizzico indie per la parte vocale ma deludente per quelle melodie acuminate che fanno il vezzo alla rave commerciale anni novanta e ad un’electro-house di cui, nel 2008, possiamo fare sicuramente a meno.
-Marc Romboy “Contrast” (Systematic Recordings): vanta una carriera pluridecennale (era lui che, insieme a Klaus Derichs, formò il duo Marc Et Claude e fondò la storica Le Petit Prince) anche se i più giovani lo (ri) conoscono solo per le sue più recenti hits in chiave electro-house. Romboy è uno che di musica ne ha sempre masticata molta ed, importante da sottolineare, di ogni genere. Uno come lui non ha mai avuto paura di reinventarsi ed un album come “Contrast” ne è la lampante conferma. Pieno di sfumature e contrasti tra techno, house, minimal, electro e trance, il follow-up di “Gemini” (2006) è un vero mosaico di suoni e fibrillanti costruzioni ritmiche. A dargli valore, oltre alle rinnovate collaborazioni con Chelonis R. Jones e Blake Baxter, è una serie d’intuizioni ora radunabili sotto l’ala della neo-trance (“Iceland” ed “Elif”) e poi sotto lo stile battuto, da qualche anno a questa parte, da Anthony Rother e Stephan Bodzin. La traccia che mi ha colpito maggiormente è “Ey Mind”, insieme al mitico Mr. K-Alexi: una sorta di Dopplereffekt sorretto dall’istinto della house di Chicago. Da ascoltare attentamente per coglierne ogni dettaglio.
-Faze Action “Spark E.p.” (Faze Action Records): hey, i Faze Action sono tornati: evviva! Perfettamente inscritto entro i confini del ribattezzato ‘nu-disco-funk’ che in terra nordica gode di una particolare predilezione (sarà perchè i vari Hans-Peter Lindstrøm, Prins Thomas, SkatebÃ¥rd e Todd Terje abitano tutti tra Svezia e Norvegia), il nuovo e.p. dei fratelli Lee, un tempo alfieri della compianta Nuphonic, suona che è un vero piacere. “Spark”, ondulato su ritmiche boogie-disco, pizzicato da synths analogici, avvolto da un crescendo di chitarre e tastiere, ed “Hypnotic”, in cui la vicinanza coi seventies si fa più nitida grazie ad inserti vocali (di Andrew Williams e Tasita D’mour) ed un’accattivante linea di basso pfunk. Entrambe le tracce sono riviste nella Dub Mix, utili per chi predilige discorsi più percussivi.
-Mr. Cisco “Fico” (Klakson): il ritorno di Francesco De Bellis sulla Klakson di Dexter e Steffi ricalca, per linee generali, quello che avevamo già assaporato nel 2005 con “Life Is Life” e nel 2004 con l’oltraggioso “Culo”. Il classico mood alla Pigna non viene alterato in “Cosmic”, un sagace accostamento tra house, disco e funk, stili che l’etichetta olandese ha (quasi) sempre desiderato imprimere in ogni sua pubblicazione. In “Fico” invece il producer capitolino ci mette a disposizione una tavolozza audio che nutre più affinità con la vecchia italo-disco, seppur rivista attraverso una dose maggiore di groove. Sprazzi di chicago-house invece s’incrociano nei loops di “Altro” dove De Bellis dimostra di saper calibrare nella giusta maniera ritmo e melodie mai scontate.
-The Hacker “2980 E.p.” (Different): finalmente, dopo mesi di gestazione, il nuovo e.p. che Michel Amato ha realizzato per la Different è pronto. A scandirlo suoni e ritmiche che tanto strizzano l’occhio alle sue vecchie e distintive releases (senti “Cabaret Futura”, “Nothing Lasts” o “Danse Industria”). Sia “White Techno Funk” che “2980” sono decisamente due brani interessanti che mi portano a rivalutare l’artista francese dopo alcune deludenti prove (“Space Travel”, “Eurocold” ed “Art Et Industries”).
-Dcast Dynamics “The Giant Returns” (Frustrated Funk): DCast Dynamics rappresenta il volto più enigmatico di Shad Thomas Scott, attivo anche sotto altri moniker come Phrunt, Metal Beast e il più noto Gosub. Il bravo producer di Miami, alla seconda esperienza con l’olandese Frustrated Funk, non nasconde la chiara attinenza alla musica dei Drexciya da cui continua a prelevare, con creatività e continuità , gli spunti per costruire la propria musica. Le velocità ridotte di “The Giant Returns”, abbinate a melodie glaciali emblematiche per un certo tipo di elettronica da ascolto, sono il contorno di un prelibato piatto musicale arricchito dalle pulsazioni subacquee di “In Darkness” e dalle concatenazioni deep di “Under Current”. Meno meccanico del precedente “Trans-Migration E.p.” (su Southern Outpost), “The Giant Returns” continua nella sua espressione ad esplorare il suono coniato dal compianto Stinson. Ps: la prima stampa è su vinile blu.
-John Starlight “Road Rage” (UKW): qualcuno aveva già ipotizzato la sua morte (l’ultima apparizione risale al 2005) ma “Road Rage” ne testimonia l’esatto contrario. Il pallido volto di John Starlight (dietro cui si cela Florian Senfter, meglio noto come Zombie Nation) riacquista colore, vigore ed energia. Certo, è difficile che torneranno i bei tempi di “Blood Angels” (2002) ma il producer di Monaco tenta perlomeno di riconquistare un piccolo spazio all’interno dell’ormai mutata scena europea. Ingredienti della sua ricetta sono sempre gli stessi: ritmi grintosi e suoni laceranti, estrapolati dal panorama industrial e sciolti in un mix di effettistica e filtri degni della manualità più evidente. Non è esattamente quello che oggi si suona nei locali ma è il disco che potrebbe fare la differenza, oltre a suonare come una novità assoluta per chi, nel 2002, rivolse altrove la propria attenzione.
-TJ Kong & Nuno Dos Santos “Tranentrekker” (Compost Black Label): con la rielaborazione in chiave technucada di “Circus Bells” (Robert Armani, per chi non lo sapesse) e col viaggioso “Merging” in compagnia di Robert Owens, la coppia olandese formata da TJ Kong & Nuno Dos Santos ha smosso in modo vistoso il mercato europeo. Non paghi dei risultati ottenuti, con “Tranentrekker” ci fanno capire di avere ancora molte frecce nel proprio arco: questa volta il suono imbocca una strada deep-house, in perfetto stile balearico, solare, capace di far tornare il sorriso anche dopo una pesantissima giornata lavorativa. Il remix di Ben Mono suona più marcato, sia nelle evoluzioni del basso che nella costruzione ritmica ma credo che qualche bpm in meno non guasterebbe. A fare da bonus track è “Dropout”, maggiormente legata ai contesti a cui ci ha abituato la Black Label di Compost: qui, il gustoso ‘minestrone sonoro’, sfodera funk, cosmic, italo, trance, progressive ed afro.
-Harnessnoise “FGB” (Elektrotribe): introdotto dalla compilation “Tech My House”, il duo degli Harnessnoise ritorna sulla label berlinese specializzata in electro-minimal-house. “FGB” è una traccia situata tra easy techno ed altrettanta facile house, che colpisce più per l’effetto in pista che per la creatività piuttosto ridotta. Molto simile il contenuto del remix di Free Electric Band, banalizzato dall’accoppiata cassa-basso in levare che in Italia visse un momento di grande splendore nella seconda metà degli anni novanta. Il più interessante arriva alla fine, quel “Suspicious Star” plasmato tra neo-progressive ed una sottile vena trance che, pian piano, sta riconquistando l’attenzione europea.
Electric greetz