“Lo studio del passato è funzionale per comprendere il presente”: al di là del significato escatologico di questa dichiarazione, gli Out Of City (Simone Fedi, Nicola Lopetuso e Dino Storai) devono aver pensato ciò col fine di reinterpretare quel che accadeva negli anni Settanta ed Ottanta per ottenere un distillato che abbia il sapore retrò ma, nel contempo, suoni moderno. “Galactica”, il loro album di debutto edito dalla label inglese dei Chicken Lips, è un lavoro che ambisce a preservare la forma e la sostanza di generi come Funk, Space Disco, Krautrock ed Italo Disco, esprimendosi con un linguaggio pregno di significato, cultura e, soprattutto, consapevolezza. Il concept rammenta quello di molti album risalenti alla cosiddetta Space Age di fine anni Settanta imparentata col Progressive Rock, e difatti le numerose tracce della playlist non sono inframmezzate da pause bensì da discese astrali (interludi o poco di più) come “Insight”, “The Sleep”, “Unconditional Love”, “Points Of View” e “The Key Of Salvation”. Complesso ed articolato, il full lenght prodotto in Toscana mostra le linee nitide dei bassi di “Whirpool Of Youth”, le melodie enucleate dall’ambiente circostante di “Endless Time”, la vigoria ritmica e gli stacchi cromatici di “Broken Rules”, “Phobos” e “Slaves”, le voci robotiche protese in accoglienti ambienti Funk di “Galactica”, gli assoli e i fraseggi ieratici di “The Messenger”, “A Ferry To Hell”, “The Prophecy” e “The Forgotten Shell”. Il trio riempie accuratamente ogni brano, quasi fosse impaurito da quello che un tempo era detto horror vacui, e poi innalza cuspidi di effetti e le riempie di ritmi dentellati, rimpolpando la banalizzata e pedestre ripetizione dell’1-5-9-13 con una sana vivacità e voglia di lasciare il segno, la stessa che si ritraccia nell’accurato booklet in cui il viaggio sonoro è meticolosamente narrato traccia per traccia, o meglio, from station to station. A primo acchito non sembra una produzione italiana: qualcuno avrà da ridire per questa mia affermazione?