Tra i veterani della scena Techno teutonica, Frank Müller è al suo terzo album, dopo “POP” del 2000 e “The Catastrophe Ballet” del 2004. In quasi vent’anni di ininterrotta attività, il tedesco ha indagato in molte direzioni, dall’Acid all’Electro Techno, sino alla House, declinata in molteplici varianti. Con la sua Müller Records poi, diretta erede della Acid Orange, ha dato facoltà ad altri visionari produttori di esporre le loro teorie avanguardiste (tra i tanti Rok, Latex, Ray Kajioka, Autotune, David Hausdorf, Yuri Suzuki, Lab Insect, Divider) e fare della scena tedesca una delle più prolifiche e creative in assoluto sia nei Novanta che negli anni Zero. Da qualche tempo Müller ha identificato nella Techno e nella Tech House i due generi di riferimento (ricordate “Corazon” ed “Horizon”?), ma la scelta non è stata dettata da esigenze di riposizionamento, anche perchè il tedesco non ha cavalcato l’onda dell’hype pur uscendo con labels di grido come Soma e, soprattutto, Cocoon Recordings. Questo serve a capire che addentrandosi nelle materie di “Polyphonication”, prodotto a quattro mani con Ulrich Schnauss, non ci si potrà relazionare con banalismi triti e ritriti, ma con elaborati grovigli ritmici ad appannaggio delle scuole americane di Detroit e Chicago. S’inizia proprio con la title-track, lussurioso intrico di atmosfere ricamate su telai ritmici alla Carl Craig, la massicciata di drum su “A New Day”, e lievi flessioni electroidi su “LTN Gateway” che riportano ai giorni di “Prophets & Whores” o “Dance The Machine”. Slancio all’indietro anche con la già conosciuta “Cosmic Flight” (ma nella fresca Break Mix), vortice di sognante Detroit forgiata sullo schema delle indimenticate “Deebeephunky” e “Sweet Shelter EP” (quello con “Watch The Moving Bodies”). “White Coffee” ha un taglio più moderno, ricavato dall’alternanza tra soleggiate aperture di pads e radiose planate melodiche e ritmi più grezzi e contorti. Poi riscopriamo “Moonraker” nell’inedita House Mix (l’originale è del 2008) e continuiamo a muoverci con “Supermoon”, “Schoenbrunn”, l’energica e vibrante “Tory Scum” (con una retrospettiva alla Rave age di primi anni Novanta), per poi terminare la corsa su “Feuer In Die Glut”, ritmicamente vicino alle terzine e dallo sviluppo tra Progressive House ed Electro Pop. Raffinato (è improntato sulle polifonie, così come anticipa il titolo) e nel contempo danzereccio, il lavoro di Beroshima non si lascia travolgere dalla (forte) concorrenza creando un sound che non teme l’inadeguatezza di fronte alle esigenze di mercato. Non raccoglierà l’esaltazione dei più giovani, visto che qui non c’è spazio per crepitii o loops nati con l’obiettivo di “centrifugare” i cervelli di chi affolla la pista, ma resta un album di musica dettata dal cuore. E ciò, oggi, è qualità più che rara.