Una costante crescita di caleidoscopiche emozioni: si può sintetizzare così la musica di Frank Heinrich, meglio noto come Reboot, da Francoforte. Il suo primo album tende a riassumere e codificare in modo ancor più preciso il sound che propone dal 2007, una Tech House spesso minimalizzata ed intrisa di referenze Afro. Non stupisce quindi che a volerlo nella sua scuderia sia stato proprio Luciano, che per i ritmi miniaturizzati e le sonorità latine ha sempre avuto un debole (e il catalogo Cadenza parla chiaro, con Michel Cleis, Ricardo Villalobos, Alejandro Vivanco ed Argenis Brito). “Shunyata” sembra dedicato all’Africa, al Continente Nero che si ricorda per i suoi problemi, per la sua abissale povertà, per la sua sconfinata terra punita da condizioni ambientali spesso inospitali, per la sua evidente difficoltà nell’allinearsi ai parametri di vita occidentali, ma mai (o davvero di rado) per la sua musicalità. Le percussioni, per chi se lo fosse dimenticato, sono nere. E “Shunyata” è un album ‘nero’, colore che scorgiamo anche in copertina, seppur miscelato con altre tonalità tendenti comunque alle tinte scure. Congas, cymbals, shaker, woodblock ed altri strumenti tipicamente ‘neri’ vivono da protagonisti nelle tracce di Reboot, anche quando i battiti della Tech House occidentale si fanno più solidi ma mai troppo coriacei. Anzi, il procedere ritmico della cassa a volte sembra quasi un mormorio dosato con parsimonia in quel twister di sonorità esotiche. Heinrich, pur seguendo la linea direttiva della club music attualmente più in voga, cerca in tutti i modi di arricchirla e personalizzarla, fondendo beats mitteleuropei a ritmi afro (“We Only Just”, la stupenda “Dreilach”) e riuscendo a far convivere perfettamente i due mondi. Su “Save Me” sembra inizializzare un rituale magico, nella title-track si apre a scenari più usuali con un bassline dal disegno immediato, in “Hermano” e “Sanchez Says” si dedica al Funk e ciò rende entrambi i brani azzardabili anche in contesti Nu Disco. Poi, con “Down Pantha” si ritorna nell’oscurità di una Deep House a tocchi minimali, negli intrecci di loops ormai tipici che hanno fatto della Dance elettronica un genere non più cantabile sotto la doccia. Altri brani ancora, e l’intro “Uruana”, rendono l’album di Reboot una sorta di fotografia sonora di luoghi incontaminati, fitti di vegetazione, natura e silenzio rotto, a volte, da tamburi di pace che si odono in lontananza.