“We love Claudio, Patrick, Gino and Giorgio”: si presenta così la Dischi Bellini, neonata etichetta, tutta italiana, fondata da Pippi Langstrumpf. Chiara Fumai, questo il suo vero nome, è una che di Disco, Electro e Techno ne ha masticata davvero tanta. E i suoi dj-sets, esportati in tutto il mondo, lo attestano. Dischi Bellini nasce a Milano come una label desiderosa di far rivivere l’Italo Disco e un certo tipo di Electro che, soprattutto nell’Europa del Nord, seguono e producono in tantissimi da ormai un decennio. Presentata in anteprima in occasione di uno showcase estivo presso il Clank Garden di Milano, “The Church Of Pippi Langstrumpf” è il primo ad uscire su Dischi Bellini, piattaforma che si prospetta già come punto di incontro e snodo tra l’Electro e la post Italo. La compilation, selezionata chiaramente dalla Langstrumpf, mette insieme 11 tracce che usano gli anni Ottanta come modulo ispirativo comune pur non evitando referenze alla Techno dei Novanta e a qualche istinto della videogame music. Bottin & Ropie, Fratelli Riviera, Motorcycle Boy e DJ Gio MC-505 sono solo alcuni dei protagonisti del progetto, pronti a miscelare Italo Pop, Disco, Chiptune ed Electro tinta di Sid style. Dal Messico poi giunge Ultron, dalla Korea Nakion e dalla Francia SYD e Nancy Fortune, con due tracce estrapolate direttamente dal catalogo Viewlexx. E poi la stessa Pippi, prima in coppia coi Club Silencio per “Sister Midnight”, poi da sola per “Thank You Mr Taylor”. Cercatelo su iTunes.
-Various “030303” (030303): la Marguerita Recordings, a cui si attribuisce la paternità del progetto, è una di quelle micro-realtà che esistono in virtù di una missione da svolgere e di un chiaro messaggio da diramare. In questo caso è l’Acid il ‘subject’ della sua esistenza, già sviluppato nell’ultimo triennio attraverso vari 12″ dal titolo omonimo (“030303”) e trattato con garbo e rispetto con macchine storiche (due su tutte, TR-909 e TB-303, icona inscindibile dell’Acid stessa). In ogni brano sembra di riascoltare le classiche vibrazioni che colorirono la fase produttiva della seconda metà degli anni Ottanta, quella che fu caratterizzata dall’invasione degli smiles gialli e dai raves: ogni artista dà il meglio di sè stesso incoronando il ritmo e marcando le linee acide che si inerpicano sullo stesso. JTC, Anders Ilar, Luke Vibert, Chris Moss, Ceephax sono solo alcuni degli alfieri che fanno di “030303” un manifesto sonoro senza tempo. Poi c’è anche chi preferisce lasciarsi andare sulle onde dell’IDM (DB e Kettel che riesce addirittura a raschiare il fondo del pozzo della Disco) e chi, spinto da fantasiose visioni, offre un ibrido tra il turbinio scomposto dell’Acid e la violenza dei ritmi Drill’n’Bass (i gemelli Fabrizio e Marco D’Arcangelo, tra i pochi italiani insieme a Marco Passarani, Lory D, Bochum Welt e Leo Anibaldi a godere del rispetto di miti come Aphex Twin, Underground Resistance, Jeff Mills, Derrick May, Juan Atkins). In copertina uno smile. E non poteva essere altrimenti.
-Nacho Patrol “The Africa Jet Band” (M Division Recordings): abbiamo imparato a conoscere Nacho Patrol grazie alla romana MinimalRome che, prima di altre, ha pubblicato i brani che Danny Wolfers ha marchiato con uno dei suoi più recenti e bizzarri aliases. Nacho Patrol ha aperto una nuova stagione compositiva per il musicista olandese, da sempre alla ricerca di nuove ispirazioni all’interno di sfaccettati mondi musicali: per l’occasione Wolfers individua il punto d’inizio negli anni Settanta, nel Funk, nella musica da telefilm, nella proto Disco incavata nell’Electro rigata di retro. L’EP, edito dall’australiana M Division, si muove esattamente su queste latitudini, muovendo l’ago direzionale ora verso l’Afro Funk e poi verso la Deep House dalle influenze etniche. 6 i brani raccolti ordinatamente, quasi come a voler creare l’ideale colonna sonora di un polveroso poliziesco (Starsky & Hutch, Chips) degli anni adolescenziali di chi oggi ne ha più di trenta. Atmosfere uniche pervadono ogni traccia (“El Fuego En Nosotros Todo”, “Cheetahman” rivelano quanto sia grande il genio dell’autore) e, in particolare, “Caravelle” mostra chiari rimandi al filone Nu Funk impostato dall’inglese Bear Funk. Questo è stile evocativo nato senza paura di sbagliare.
-Christopher Kah “Plusplusone” (White Noise): quattro anni fa, quando debuttò nel mondo della discografia grazie a Terence Fixmer che lo volle sua sua Planete Rouge, fu definito una delle nuove promesse della corrente Nu EBM, ma poi la poca prolificità ha fatto del suo nome qualcosa di talmente underground da essere quasi dimenticato. Oggi Christopher Kah ritorna più agguerrito che mai con un nuovo 12″ edito dalla label di Dave Clarke: dal rosso fuoco di Planete Rouge si passa così al bianco di White Noise ma il colore dominante della sua musica resta indiscutibilmente il nero. “Plusplusone” è Dark Techno passata sapientemente in rassegna su scenari gotici, un pò rallentata rispetto alle precedenti esperienze ma sempre immersa nel mondo dominato dalle tenebre a cui il producer transalpino ha legato saldamente la sua immagine. Techno, nera come la pece, gonfiata da bassi sordi e sovrastata da tetre melodie, è anche quella di “Black Jungle” e di “Ditroy”. E’ con “The Beauty” che risveglia il suo animo più battagliero, attingendo voci dal mondo dell’Hardcore e lasciando il giusto spazio all’impetuoso regime della Techno anni Novanta che ricorda le produzioni di Manu Le Malin, Laurent Hô, Torgull, Gallen e Chaotik Ramses.
-Patrick Cowley & Jorge Socarras “Soon” (Macro): fondata da Stefan Goldmann nel 2007, Macro è nata col preciso obiettivo di riscoprire brani dimenticati appartenenti alle trascorse decadi e riproporli alle nuove generazioni attraverso inediti remix. E’ il caso di questo “Soon”, composto ben trent’anni fa (ma rimasto inspiegabilmente unreleased) da Patrick Cowley e Jorge Socarras, che ai tempi diedero col progetto Indoor Life un taglio più sperimentale alla Disco elettronica per cui Cowley, insieme a Bobby Orlando, è considerato uno degli inventori. Anticipando quel che poi avvenne dieci anni più tardi per mano di bands come Leftfield, LFO, The Orb ed 808 State, “Soon” rivela gli scenari della proto Techno e dell’Electronica ancora oggi ritenuta d’avanguardia. Due i remix: quello di Morgan Geist (Metro Area), in cui i battiti ritmici restano immobili perchè stretti in pareti dark e suoni granulosi, e quello di KiNK, in bilico tra Dub, IDM e Breakbeat visionaria avvolta dall’ambient alla Jan Jelinek e Manuel Göttsching. “Robot Children” si sposta invece verso scenari influenzati dal Rock e dalla Disco di quei tempi (sembra di riascoltare frammenti di “Tech-No-Logical World”), ma immersi in una dimensione meno danzereccia e più aderente allo sperimentalismo New Wave. Seguirà presto “Catholic”, l’album con cui Macro darà nuovamente vita alla musica degli Indoor Life, argomentando le loro tematiche sperimentali quanto pionieristiche rispettandone fedelmente l’autenticità. Torneremo a parlarne.
–=UHU=- “Elektridas EP” (-=UHU=- Records): tra le scoperte più piacevoli effettuate da DJ Hell negli ultimi anni, Gatis Pastars va ad infoltire la schiera di quei producers (Dynarec, Gosub, The Consumer, AS1, DMX Krew, Steven Patton, Microthol, Vcs2600, Biepang, Faceless Mind, giusto per citarne alcuni) che desiderano dare continuità storica e creativa all’opera dei Drexciya iniziata nei primi anni Novanta. -=UHU=-, che vuol dire Universal Human Underground, inaugura la sua personale label volando su ritmi vintage costruiti con datate rhythm box e su suoni galattici che da sempre coloriscono quelle produzioni di taglio innovativo ed anticipatore. “Faster Speedias” respira a pieni polmoni su pianeti lontani, dove la mancanza di ossigeno non implica l’assenza biologica. “Mind Creation” invece si avvicina maggiormente a quello che il russo aveva proposto nel “Constellation Mixes” del 2005, su International Deejay Gigolo: ad intersecarsi è il meccanicismo ritmico e squarci melodici ancestrali. Più sinuosa è l’andatura di “Quantum Electrodynamic”, in cui il bassline giocato sapientemente sulla tastiera cinge frammenti minimalizzati dell’Electro dominata da ambientazioni siderali. L’ultima è la title-track, “Elektridas”, elettrizzata e pizzicata su un ritmo che pare proprio una strada ferrata capace di portare dalla Terra allo spazio infinito quanto misterioso.
-Savas Pascalidis “Figure SPC C” (Figure SPC): già suonato da Adam Beyer, Dave Clarke, Josh Wink, DJ Hell, Dubfire, Renato Cohen, Par Grindvik ed altre star internazionali della consolle, il nuovo di Savas Pascalidis si può considerare la naturale continua di quel che era accaduto in “Vapors/Rich Hot Teen”. “Positive Force”, prodotta insieme a Marcel ‘Monk Ponk’ Dadalto, è situata su un conturbante giro di basso che mostra il suo vigore attraverso l’uso continuo dei filtri e delle ottave. I movimenti ritmici vagamente terzinati di “Let’s Rough” invece appaiono vagamente influenzati dalla corrente minimalista berlinese, anche se l’approccio technoide è piuttosto evidente. In “The March” si incrocia anche l’Electro, ma è in “Web Of Fear” che l’artista esprime al meglio la sua vena creativa, ringiovanendo il personalissimo Space Funk (con cui, dieci anni fa, inaugurò la sua Lasergun) contornandolo di echi Techno anni Novanta e graffi pseudo acidi. L’inverno ci porterà anche il nuovo album: restiamo in trepidante attesa.
-Gus Gus “24/7” (Kompakt): dal 1995, anno della loro formazione, hanno collezionato una serie di reimpasti organizzativi che però mai hanno scalfito la loro reputazione conquistata con pieno merito. Oggi i Gus Gus si ripresentano attraverso la Kompakt di Colonia con un progetto che non faticherebbe ad essere classificato come Mini Album. Esplorando le molteplici direzioni della dance elettronica contemporanea, il trio islandese crea musica per la mente e per il corpo, lasciando convivere le ambientazioni New Age e i suoni sintetici (“Thin Ice”, caratterizzata da un’intro lungo oltre tre minuti), o il Rock e l’Electro (“Hateful”, “On The Job”) rammentando, seppur per linee generali, quel che fecero anni fa anche formazioni tedesche come Codec & Flexor o Dakar & Grinser. In “24/7” non c’è una hit planetaria come “David” o “Need In Me” e nemmeno qualcosa che la possa ricordare: gli autori preferiscono smanettare con le tastiere e i loro knobs anzichè ricercare la canzone da far cantare alle platee, e brani come “Bremen Cowboy” e “Add This Song” lo attestano. La sorpresa è quel “Take Me Baby”, riedizione del classico di Jimi Tenor del 1995 avvalorato dal featuring imperioso dello stesso finnico, ricordato per essere stato tra i primi a combinare la musica elettronica agli elementi del Jazz, del Soul e dell’Afro.
-Error Response “Zen” (Elektrotribe): sono serviti tre anni ad Elektrotribe per tornare ad investire su un settore diverso dalla Minimal Techno. Ciò avviene grazie alla musica di Stephen Arnold, già apprezzato nella veste Electro di Espion, che si incammina temerariamente su un percorso brulicante di stili alternativi quali Hip Hop, Dubstep, Jungle, Abstract, Downtempo, Trip-Hop, Drum N Bass e musica da film. L’autore forgia ben 18 tracce liberate da ogni vincolo stilistico ed influenzate dal sound di Aphex Twin, DJ Krush, Nightmares On Wax, Squarepusher, Plaid, Photek, Autechre ed altri miti dell’IDM più concettualista. Tra le più indovinate, nella ricchissima sequenza, “Rules Of Engagement”, “The Clones”, “Creep 31”, “Shadows” e “Real Props” col featuring di The Protege. Un progetto che potrebbe (e forse dovrebbe) aprire un nuovo corso per l’etichetta franco-tedesca fondata da Romain Favre e Jeremy Govciyan.
Electric greetz