Tra le poche ad aver opposto resistenza ed essere sopravvisute al dilagante fenomeno del neo-minimal la Plastic City si conferma tra le labels più coerenti d’Europa. Un tempo nota per aver lanciato il fenomeno AWeX (correva il 1995), poi passata nelle mani della UCMG Germany e, più recentemente, del gruppo Daredo Music di Mannheim, l’etichetta tedesca ritorna all’attacco col quinto volume di “Deep Train”, raccolta nata nel 2001 con l’intento di offrire alla produzione tech-house e deep-house un più che valido sostegno. Mai mutata nel corso degli anni (nonostante i fortissimi cambiamenti a cui la scena internazionale è andata incontro) “Deep Train 5” è (ancora) mixata da Jean Frank Cochois alias The Timewriter che ha sempre creduto in questo genere musicale. Tra i veri baluardi della deep-house contemporanea Cochois è più che rispettato per la sua attività pluridecennale di produttore (ha praticamente inciso sempre per Plastic City nonostante i cambiamenti al vertice) e remixer (a richiedere il suo magico tocco, tra gli altri, anche Mike Oldfield, Faithless, Yello, Boy George, Frankie Knuckles e i mitici Rammstein). Oggi assembla 15 tracce di un ‘manifesto’ trainato dal motto “Sensual Dawn” abbracciando romanticismo, atmosfere surreali e voglia di ballare. Viaggio omogeneo nel corridoio più ‘fumoso’ della dance contemporanea, il progetto sfoglia il meglio che il genere deep-techno-house oggi possa proporre: da Pete Gust a Diogenes Club, da Cosmic Belt ad Adam Jace, da Budai & Vic a Nikola Gala sino a Sian, Robert Graff, Household e Da Funk. The Timewriter irrompe poi con la sua “Gazing” e col remix di “Escape From The Madness” di Rob Pearson vs C-Soul featuring Robert Owens. Un’viaggio’, come si è soliti dire in queste circostanze, verso un isola. Che non c’è.
-Mark Du Mosch “Strenght E.p.” (Moustache): già coinvolto in coppia col finnico Mauno Kalevi Mark Du Mosch si ripresenta su Moustache con un nuovo e.p. da solista che segue il filo di “Let It Go” uscito nel 2006 sulla Keynote di Otto Koppius. Se “Airforce” è ben conficcata nella disco-house alla Bangkok Impact & Co. “Faith” smuove qualche linea melodica in più attraverso gli arpeggi bleepy tipici dell’autore. Poi “Kolossus”, con le sue referenze ‘legoweltiane’ e disegni stilistici alla Crème Organization, “Midnight” che segue da vicino la polverosa italo-disco e “Saturday Night Live” segata dalle ritmiche della disco e dalle chitarre del funky sormontate da decisi blips. Lo troverete ‘avvolto’ nella classica confezione Moustache ovvero il white-label che fa tutto molto più ‘underground’.
-Bochum Welt “Cut 10 E.p.” (Rephlex): nell’attesa che venga rilasciato l’atteso nuovo album che s’intitolerà “Robotic Operating Buddy” di cui, sicuramente, torneremo a parlare tra qualche tempo, Gianluigi Di Costanzo alias Bochum Welt (è italiano, a dispetto di tanti che lo credono tedesco) riappare sulla mitica Rephlex con un 10″ in tiratura limitata. Incavato nella musica primordiale dei Kraftwerk, lo stile di Bochum Welt si arricchisce di lineamenti romantici alla Human League spodestati poi dal meccanicismo di Drexciya. In “Interlude” si riassapora la classica scia melodica del musicista italiano, levigato quasi sul downbeat più leggiadro. Sul lato opposto è stesa invece “Saint” riassemblata in una versione ‘scientifica’ firmata da Gerald Donald, per l’occasione ‘vestito’ da Heinrich Mueller. Il creatore del Dataphysix Insitute, già celebre per altri monikers come Dopplereffekt, Arpanet, Der Zyklus e Japanese Telecom nonchè ‘complice’ del compianto Stinson nel progetto Drexciya, riconfeziona il brano secondo la tipica ed inconfondibile trama retro-futurista, alla base di tutte le sue pubblicazioni. Unico neo? Le copie a disposizione sono davvero poche.
-Grackle “Genres” (Strange Life): l’alternarsi tra supporto cdr e vinilico della Strange Life rende il tutto più eccitante. Per il #16 la scelta cade sulla vecchia e cara plastica nera circolare che offre la base alla musica di Grackle (ossia Speculator) già incontrato sulla medesima piattaforma nel 2005 col più estremo e sperimentalista “Cloak & Dagger”. L’Original Mix di “Disco” pare rivitalizzare la vecchia disco (non poteva essere altrimenti visto il titolo) con irresistibili beats e chitarre spaziali. La voglia di modernità s’avverte in modo ancor più netto nel remix dei Musiccargo (Amontillado Music), un dondolio continuo tra ritmi di ieri e suoni di oggi. Poi in “Trance” ed “Electronic” si consumano altre esperienze che paiono più connesse all’ambient e alla musica da atmosfera (non certamente una novità per l’etichetta olandese diretta da Danny Wolfers). E, dulcis in fundo, come la classica ciliegina sulla torta, arriva proprio il remix di un Legowelt che pare rapito dalle attitudini alla Vangelis: ritmi smorzati in modo chiaro circumnavigano sensazioni uniche e tipiche di polverosi esempi di obscure-cine-music a cui il poliedrico musicista di Den Haag fa riferimento ormai da molti anni a questa parte.
-Bodycode “A Document Of An African Past” (Yore): già noto per uscite multiple su Background, ~scape, Ghostly, Karat, Adrift, Spectral ed altre Alan Abrahams approda su Yore, etichetta nata sulla joint-venture tra Andy Vaz (Background) ed Alessandro Vaccaro (Persistencebit) che fornisce nuovi stimoli alla dance scovando linfe vitali nella house e techno old-school. In questo caso il vulcanico producer di Capetown (Sud Africa) si cala in un pressante mix tra deep-house ed afro-futurismo (“A Document Of An African Past”) che sulla massiccia parte ritmica installa percussioni metalliche, un sample vocale che suona come un pugno nello stomaco e tetri pads in stile Legowelt. Per “Body To Body” (con l’intrusione vocale di Lerato) invece ci si accomoda sulla deep-house riflessa nel dark, feroce e potenzialmente accostabile alla vecchia underground anni novanta, naturalmente modernizzata. Purtroppo si registra qualche errore di stampa: sul lato b manca “The Centre Of Time” e il titolo è stato erroneamente riportato come “A Document Of An American Past” (che sia un destino quello degli africani?). Nonostante tutto il disco è bombante e fa aumentare la pressione sino a creare scintille sulla puntina.
-Troy Pierce “Gone Astray” (M_nus): in America gira già da qualche mese ma la distribuzione europea è cominciata solo da poche settimane. Parlo dell’album (il primo) di Troy Pierce, tra i nomi imperanti del ‘nuovo’ movimento minimal (giacchè le origini di questo stile vanno ricercate negli anni novanta e non nel 2006 come molti continuano a credere). Prevedibilmente “Gone Astray” non si discosta così tanto dalla filosofia della celebre etichetta canadese e schiera in prima linea pochi suoni ma scelti con cura quasi maniacale. E’ il caso di “Lost On The Way To DC10” (autobiografico?) e il rispettivo remix di Konrad Black, ancor più mentale e psichedelico. Oppure di “Klitkut” e “Word” per cui l’autore scomoda anche un pò di percussioni, o di “Go Without Me (Stay Away)” e “Go Without Me (Come Back)” in cui si delinea il gusto per il tenebroso. Poi con “Golden” l’americano si mette alla ricerca, quasi come un archeologo, di quel che rimane dell’acid. In Germania è già una hit.
-Will Saul “Simple Sounds E.p. 3” (Simple): per completare la trilogia che accompagna l’uscita del cd “Simple Sounds” di cui abbiamo già parlato qualche settimana addietro (leggi Electronic Diary #165) esce il terzo (ed ultimo) atto di una mini serie di remix-ep. Questa volta ad essere presi in considerazione sono “Speak & Spell” (dal “Tic Toc” del 2005) e “Pause”, uscito quasi un anno fa. Il primo gode di un rinverdimento ad opera dei finnici Putsch ’79 (Sami Liuski e Pauli Jylhankangas) che si divertono (ancora) con la loro personale visione disco-house (forse questa volta più house che disco) scandendola con un mini riff geometrizzato ed acuminato nel bel mezzo della stesura. Il secondo rivive invece per mano dei 2020 Soundsystem (Ralph Lawson, Danny Ward, Fernando Pulichino e Julian Sanza) che ne forgiano un sound più ovattato, pendente tra deep-house romantica ed un tiro ritmico old-school. A fare da collante qualche riflesso pfunk reso più nitido soprattutto sul finale. Et voilà , il gioco è fatto. E completato.
-Jay Shepheard “Romance Gdansk” (Compost Black Label): già col #19, uscito nella passata primavera, aveva dimostrato di essere all’altezza della situazione e questo #28 oggi suona come la conferma. Quello di Shepheard è sicuramente un sound dalle venature vintage ma messo a nuovo rispetto ai tipici prodotti belgi ed olandesi che arrivano da anni sul mercato. “Romance Gdansk” mischia l’electro alla chicago-house soffermandosi in modo particolare sul bassline, “Four Nut Combo” è ancora più modaiolo nonostante l’ispirazione venga (ancora) dagli anni novanta. Poi “Dirty Cache”, esempio di come la detroit-techno possa essere sovrapposta al suono deep inglese e “…There’s A Party Upstairs”, la mia preferita, più composta nei grooves, più balearica nei suoni, più estiva e più sognante. Nonostante il mio gusto musicale avesse trovato più punti in comune col passato “Pipes N Sneakers” quella di Shepheard è da ritenersi una bella prova che non abbassa il livello qualitativo di Compost Black Label.
-Luca Bacchetti “Like A Sadhu E.p.” (Wagon Repair): oltre che ottimo dj Luca Baccheti si rivela anche talentuoso music-maker. Per il ritorno sulla label di Vancouver l’artista sceglie tre tracce che identificano altrettanti itinerari musicali. “Like A Sadhu” è pensata esplicitamente per il dancefloor con la sua genetica audio ubicata tra tech-house ed un pulsante basso che, nella parte centrale, diviene incandescente come una colata lavica. In “Trust” il tiro invece diviene più rollin’, prediletto dall’autore anche nelle sue gigs, rischiarato da synths che di tanto in tanto fanno registrare il loro (rumoroso) passaggio. Ultima, ma solo in ordine di apparizione, “The Way To Corvocado” in cui s’infrangono melodie sognanti, melanconiche, tristi ed un pò assopite che, con un pò di fantasia, lasciano scrutare candida neve posata sulle fronde degli alberi in inverno.
-Kap10Kurt “Dangerseekers” (Plant Music): avevo adocchiato questo autore già qualche anno fa quando rilasciò, sulla Memory Boy di John Selway, l’intrigante “Die Sleeping”. Adesso lo ritrovo su un colorato picture-disc con cui, con molta probabilità , potrebbe riuscire ad attirare l’attenzione del grande pubblico. Già perchè Kurt Uenala, con “Dangerseekers”, scomoda suoni electroidi molto retro (a volte ammicanti al vintage, stile Ural 13 Diktators), ritmi sincopati e basslines attorcigliati su sè stessi e tutto ciò si presta per l’ottimo remix ad opera di Tepr (Tanguy Destable) che ne ricava un potente anthem imbevuto di suoni alla Junior Jack e Cassius, percorso contemporaneamente dal french-touch e dalla pumpin’ house dal gusto nordico (Angello, Ingrosso, Prydz). Anche Rolf Honey non si discosta così tanto da questa formula creando ancor maggiori presupposti affinchè “Dangerseekers” possa fare crossover. L’edit, pieno zeppo di spezzettamenti e filtri, è del nipponico Shinichi Osawa (ex Mondo Grosso) che i più attenti ricorderanno di aver già incontrato su Kitsuné. Future hit? Pare proprio di si.
-Marco Carola “Re_Solution” (2M): dopo il collasso della sua Elp Medien (sembra impossibile eppure è proprio così) il dj-producer napoletano, caposcuola di un preciso movimento che negli anni passati ha preso il nome di ‘naples techno’, trova la forza di creare una nuova piattaforma. La 2M, questo il nome, parte con “Re_Solution” (la risoluzione ai problemi sorti a Francoforte sul Meno?), brano che intefaccia grooves detroit e basslines chicago e poi ondeggia su snodi ritmici un pò funk, come la tradizione napoletana tramanda da anni. Sul lato b il partenopeo vuole “Weekend” che riflette l’essenza del neo-minimal, incoercibile dalle percussioni e scevro di melodie. La storia di Carola ricomincia da qui, con una edizione (limitata?) di ben 2000 copie.
-Nudisco “360” (Yellow Tail): anno decisamente positivo per il trio di Amburgo formato da Willi Daubner, Dirk Ewert e Frederic Berger: remix per Kaiser Souzai, Trentemøller, Stephan Bodzin e Groove Rebels nonchè una serie di ep stampati da etichette come KarateMusik, Gastspiel ed Hammarskjöld hanno portato il loro sound nelle orecchie della massa dopo le prime avventure (tra 2002 e 2004) vissute quasi nell’anonimato. Il follow-up di “Pepperjuice/Ajowan” è rappresentato da due tracce in cui le percussioni digitali si mischiano a bassi tipicamente electroidi. “360” porge un buon susseguirsi di suoni, melodie appena sbozzate ed arpeggi dream mentre “Kickflip” è più basica e legata ermeticamente al fenomeno tedesco della clickin’ house, ormai status fondamentale di ogni etichetta che desidera avventurarsi nel business.
-Amari “Scimmie D’Amore” (Riotmaker): preferendo di gran lunga la qualità alla quantità (contrariamente a molte altre indipendenti) l’udinese Riotmaker (ri)torna a parlarci attraverso la musica degli Amari, tra i pilastri più solidi e granitici del loro poco esteso (ma ricco) roster artistico in cui troviamo altri ‘audio-creativi’ come Ex-Otago, Carnifull Trio, Fare $oldi, Ricciobianco, Roudpear e gli ormai noti Scuola Furano. In “Scimmie D’Amore” scorrono, quasi come il testo che s’illumina progressivamente del karaoke, ritornelli che sorridono e fanno sorridere su ritmi coinvolgenti e sinuosi. E’ il caso di citare “Le Gite Fuori Porta”, “Il Raffreddore Delle Donne” e “Manager Nella Nebbia” che fanno degli Amari una band da ascoltare con più attenzione rispetto a quando si poggia la puntina (o si pigia il tasto play) di un classico disco pop-dance dei nostri tempi. Qui il pop s’interseca al funk in modo più che clamoroso e viene subito da dire che gli Amari stanno al pop-funk come i Subsonica al pop-elettronico. Squarci pfunk si aprono in “Arpegginlove” e poi c’è la cascata di emozioni ricamate da picked-bass slappati con dovizia (“Ice Albergo”, “30 Anni Che Non Ci Vediamo”, “Fiamme In Un Bicchiere”). Alla fine non resta che calarsi nell’intro (“La Squadra E’ Dura Al Lavoro”) e nell’outro (“E2 E45”) per ultimare l’ascolto di un disco incorniciato dalla viva creatività che oggi, il più delle volte, fa sentire la cronica assenza nell’ormai dozzinale produzione italiana.
Electric greetz