500 copie in vinile blu trasparente stampato in edizione limitata e numerato manualmente: queste le coordinate entro cui viene inscritta “Synthesize Me”, la prima avventura discografica promossa dalla piccola etichetta francese Radio Cosmos fondata e diretta da Fred Bergamaschi. Accostato fedelmente al mondo del synth-pop su cui oggi davvero in pochi investono ancora, il progetto si erge come un vero baluardo in mezzo ad un mare di dischi quasi tutti uguali e con una dose di creatività a volte davvero inesistente. Le tastiere analogiche, a dispetto dei plug-ins avveniristici che pare siano riusciti ad emularne le gesta in tutto e per tutto, sono ancora lì, pronte ad essere strimpellate e suonate da chi crede ciecamente in questa musica che non va confusa con le tante nefandezze in circolazione. A pigiare i tasti bianchi e neri, a girare le manopole, ad alzare ed abbassare i cursori dell’envelope sono artisti che nell’80% dei casi si trovano al debutto discografico come Antilles, Lasertanz, Aldo Bergamachine ed Alkali Tanz. A questi s’aggiungono anche presenze più note (fermo restando che parliamo di pura underground) come Makina Girgir, Keen K e Dorian E. e Divider, tutti con la fissa del suono retro che parte dai ritmi pompati di Bobby Orlando, passa per i romanticismi new-wave dei New Order e Depeche Mode, sfiora l’italo-disco di Koto, Ken Laszlo, Scotch e Miko Mission e giunge alla computer-disco di Giorgio Moroder. Ad un ascolto ancor più attento ci si potrà rendere conto che “Synthesize Me” non ci fa mancare nemmeno l’electro più epica costruita con l’intento di omaggiare di musica un film di fantascienza (Weltwirtschaft ed Orbitfighters). Un mondo cosmico quello idealizzato dall’etichetta che batte bandiera francese avvalorato ulteriormente da una copertina di Gil Formosa che pare immortalare una Claudia Schiffer pronta a denudarsi col caldo suono del Prophecy.
-Duracel “Hole In Head E.p.” (SD Records): Duracel, capeggiato da Menno Van Os e nato da una costola dei vecchi Unit Moebius, torna dopo la lunghissima assenza (ben sette anni in cui si registra solo una comparsata nel 2005) con un extended play sul quale scommette l’agguerrita etichetta dei Syncom Data. Cinque le tracce che mescolano al loro interno ritmiche sincopate a flussi robotici con l’intento di fornire all’ascoltatore un prodotto più futuristico possibile. Differente rispetto a datate apparizioni su Bunker, DUB e Viewlexx, “Hole In Head” snocciola ricami alla Air, Maxx Klaxon e Vive La Fête (“Hole In Head”, “Low Ride”), soluzioni alla Kraftwerk o del primo Anthony Rother (“That Rope”) e sfibrate d’intrigante dark-ambient (“Snipe”, “Don’t”) tanto caro alla scuola underground olandese che oggi gravita intorno al pianeta Clone. Speriamo che il reinserimento dell’artista ‘duri di più’. Proprio come recitava un noto slogan televisivo anni addietro che si riferiva alle pile omonime del suo pseudonimo.
-Zander VT “Far From Jaded” (BPitch Control): Fritz Zander e Sven Von Thülen ancora insieme nel progetto in cui Ellen Allien ha creduto per prima convogliandolo su Memo. Adesso il suono della coppia tedesca è adatto anche alla ‘mamma’ BPitch Control che apre le sue porte a “Far From Jaded”. La title-track si aggrappa al mondo multisonoro che la Allien ha sempre voluto rappresentare con la folta produzione della sua label fatta da continui agganci deep e techno, non così distanti dallo stile con cui, qualche anno fa, si distinse Heiko Laux e la sua Kanzleramt. “Jaded” deriva dalla stessa idea ma si propone con ritmi palesemente influenzati dalle sincopi dell’electro. Sul vinile c’è spazio anche per “After The Crash”, una vera scalata deep-progressive-trance piena di riflessi luminosi che gettano un pò di luce sull’oscuro alone che aleggia sulla maggior parte delle releases targate BPitch Control.
-Deadset “Keys Open Doors” (Front Room Recordings): non è stato ancora rivelato il motivo per cui Cass Cutbush e Tom Mangan abbiano voluto mandare in soffitta il progetto Cass & Mangan e rinascere sotto Deadset. Forse per inaugurare un nuovo iter musicale che rispetto a quello seguito nell’ultimo triennio tende ad agganciare più materiale plastico e saltellante, soprattutto nei bassi e nelle sequenze di samples. Per avere un’idea immediata di quel che sto descrivendo conviene far suonare all’istante tracce come “Keep Quiet”, “Buzzer Says Werner”, “Ape Man Abacus”, “Tick Tock” e, tra le più ‘electro inspired’, “Brazil ’70” e “People Love Elvis”. A sorreggere questo rinnovamento generale è Jesse Rose che trova perfetto, per la sua etichetta, il suono stazionato tra i minimalismi berlinesi e le vampate di suoni più grassi e corposi. Ma quali saranno le porte che si accingono ad aprire i Deadset? Quelle del successo? Al momento è prematuro sbilanciarsi in previsioni. Di certo è che Cass & Mangan sono morti. Lunga vita ai Deadset.
-Miss Plug Inn “Shake Your Body” (Music Control): arriva dalla label di Salvatore ‘Casco’ Cusato il maxi-e.p. di Silvia Trebbi che, affiancata dall’amico Wawashi, riproduce con fedeltà il caldo suono dell’italo-disco inteso nella sua essenza primordiale. Annoiati dal recente trend europeo che ha minimalizzato il suono dei clubs la coppia bolognese immortala, quasi come in un’ideale fotografia audio, la passione per il caro e vecchio suono retro. “Shake Your Body”, scandita da una spassosa parte vocale in inglese burlesco (a me ricorda “I Like Chopin” di Gazebo), possiede il giusto mood per smuovere la polvere dei bassi ottavati e degli snares riverberati. Il pezzo viene offerto in pasto a due remixer d’eccezione come Remute (il tedesco Denis Karimani) e l’italiano Discodromo (già entrato nelle grazie di Prins Thomas): il primo lo fa marciare su beats più compressi e sacrifica gran parte del vocal mentre il secondo gioca con le percussioni abbinate ad una stesura più improntata sullo strumentale. Transitando per un efficace Casco Edit poi si raggiungono altre gemme come “Ex”, in cui ritmi pullulanti di strumenti vintage (rim-shot) avvolgono ricordi dei vecchi Depeche Mode, “Come On”, da ballare col sorriso sulle labbra, “Zodiac”, un’electro-pop molto romantica ricamata sulle tessiture degli Hong Kong Counterfeit e la splendida “A Perfect Time” in cui le citazioni di Bobby Orlando e Patrick Cowley sono più che necessarie per identificarne la tipica filigrana sonora graffiata da una voce sibillina, quasi un mix tra Miss Kittin e le Chicks On Speed. Don’t be a robot: shake your body”
-Burial “Untrue” (Hyperdub): tra le etichette che hanno conservato intatta la spiccata voglia di stupire l’ascoltatore con trovate sempre ingegnose e fuori da ogni tipo di prevedibilità la scozzese Hyperdub di Kode9 propone il nuovo album di Burial, il secondo dopo l’omonimo del 2005. “Untrue” è geneticamente connesso al dubstep, genere coniato nel solco della fusione ed interpolazione di reggae, break, hip-hop, jazz, funk e, perchè no, house. Conseguentemente lo stile che ne viene fuori sfiora il drum n bass meno acuminato, addolcito da una singolare vena soul e, frequentemente, punto di contatto col 2 step che qualche anno visse un grande momento di celebrità (ricordate gli Artful Dodger?). In “Untrue” si delineano stupefacenti esempi di contaminazione stilistica come “In McDonalds” e “Ghost Hardware” che lasciano assaporare anche una scia ambient. Tenuto costantemente sotto la cappa del suono scuro ed uggioso tipico del mondo Hyperdub Burial sfodera anche l’eterea “Dog Shelter” che insieme all’altrettanto magica “UK” e alla sinuosa “Archangel” (in cui si lavora sui ritmi e sulle modulazioni vocali) fanno dell’elaborato un punto d’interscambio tra suono sperimentale e leggiadri pads importati da soundtracks di film di fantascienza. Emozionale è l’aggettivo che calza meglio per descriverlo.
-Dave DK “Lights And Colours” (Moodmusic): ben sette gli anni che lo separano da “Sensory Overload”, firmato come Dave ed inciso sulla Müller Records di Beroshima. “Lights And Colours”, a differenza del suo predecessore che vantava un approccio decisamente più techno, si smorza sotto la spinta della nuova house che in quel di Berlino vive un periodo di assoluta egemonia. David Krasemann, un tempo resident del famoso Tresor, mostra grande versatilità in un lavoro che depura, distilla e rallenta i ritmi di un tempo. Alla base di tutto c’è comunque l’amore per la tech-house trasposta per l’occasione su schemi minimali, a volte troppo fiacchi per le mie orecchie, ma perfettamente in linea col suono che oggi contraddistingue la scena musicale del nostro continente. Procedendo dal già noto “Sweet Yellow” Krasemann tocca un’ampia gamma di situazioni, dalle spigolose ed ipnotiche a quelle più fluenti ed avvolgenti. La playlist, che comunque non stravolge le regole della musica da ballo, è impreziosita da collaborazioni di tutto rispetto (“Volar”, “Fading Light” e “Nice To See You” realizzate rispettivamente con Tigerskin, Ira dei The Tape e Smash TV) e gemme come “Stargazer” e “Cinema Paraiso” (che sia ispirata dal noto film di Giuseppe Tornatore?). Quella che era deep-techno si è trasformata in deep-house. Del terzo millennio naturalmente.
-Marbert Rocel “Speed Emotions” (Compost): il trio formato da Marcel Aue, Robert Krause ed Antje Seifarth rappresenta l’ideale meltin-pot di suoni ed emozioni disparate. Da un lato troviamo l’elettronica vissuta con animo piuttosto astrattista, dall’altro ci si imbatte invece in una musicalità che richiama il funk e il soul con un anima più delineata. Di dance, in “Speed Emotions”, in realtà se ne respira ben poca: a parte “Cornflakeboy”, “ttictictac” e “Roll To Roll” difatti il disco scava nel jazz, in un’electronica ad ampio raggio e nel chilly. Interamente racchiuso entro la parentesi dell’alternativo, l’album dei Marbert Rocel sfugge così alla scuola di pensiero tedesca del momento che inizia a dividere fin troppo poco con la gradita creatività di un tempo.
Electric greetz