Come preannunciato durante i caldi mesi estivi la Wagon Repair rilascia il primo album dei Cobblestone Jazz, trio composto dai musicisti Danuel Tate, Tyger Dhula e Mathew Jonson. Già affermatisi con carriere da solisti (in particolare Jonson, uno dei nomi più richiesti in Europa negli ultimi due anni), i tre hanno visto accrescere ulteriormente la propria fama grazie al massiccio supporto da parte di personaggi cardine del settore come Gilles Peterson (BBC 1), Daniel Bell e Richie Hawtin. La musica dei Cobblestone Jazz trae linfa vitale dall’ipnotismo della techno di Detroit ma si arricchisce grazie ad un particolare feeling che gli autori hanno stretto con l’improvvisazione. In tutti i brani infatti i filtri si aprono e si chiudono scombinandosi di continuo e creando sempre situazioni nuove e non dettate dal rigorismo del loop. Bassi contorti e ritmi mai troppo pesanti (“Slap The Bass”), oscillazioni deep-house (“PBD”, “Change Your Apesuit”) e soluzioni micro-hypno-techno (“Hired Touch”, “Lime In Da Coconut”, “23 Seconds”) spianano la strada per un avvincente elaborato che non è completamente allineato all’utilizzo in discoteca. Certo, ascoltando la progressiva “Saturday Night” vien proprio voglia di alzare il volume e muovere il piede a ritmo ma è indispensabile dire che “23 Seconds” possiede qualcosa in più del classico disco da sfruttare per riempire la pista. Ad essere interpellata è anche la trance in “W” dove, magistralmente, vengono fatti confluire anche elementi jazz sorretti da una metrica in 4/4. E poi, alla fine, si sobbalza grazie a “What You Want” (in cui i raggrinzimenti acidi sono accarezzati da celestiali aperture di pads e vocoder) e “Waiting Room”, elogio all’electro-funk più solare. Dopo un attento ascolto vien proprio da dire che i Cobblestone Jazz sono riusciti lì dove in tanti non hanno nemmeno osato avventurarsi: combinare suoni che in apparenza non avrebbero modo di convivere nella stessa stesura perchè appartenenti a generi diametralmente opposti e coadiuvarli dall’improvvisazione tipica di un live-act. Il muro tra la house e la techno è ora completamente abbattuto.
-Aa.Vv. “La Terrazza” (Circle Music): fondata nel 2004 da Alex Flatner la Circle Music dedica la seconda uscita in cd a La Terrazza, popolare club che riscalda le notti di Barcellona sin dal 1995. L’intento è quello di racchiudere, in una sola tornata, il meglio del sound che questo storico locale iberico ha proposto durante la passata stagione estiva. Due i dj’s interpellati, poco conosciuti dalle nostre parti (e sinceramente anche a livello europeo) ma non per questo meritevoli di disattenzione. Sia Oscar Aguilera che Sergio Patricio infatti dimostrano di saper stare dietro la consolle, essere in grado di armeggiare coi giradischi e mixer e non scimmiottare l’operato dei più blasonati colleghi. Avventurandovi nel doppio cd troverete brani di Good Groove, Trick & Kubik, Samuel L. Session, Full Intention featuring Thea Austin (si, proprio quella degli Snap!), Umek, Chris Lake, H-Man, Joy Kitikonti, Stephan Bodzin, Rekorder, Danyel Taylor ed altri ancora che oscillano freneticamente tra progressive-house e neo-minimal.
-Motor Mouth “Horses, Cars & Stars” (Players Paradise): la division disco della Dirt Crew Recordings sforna il suo #015 battendo l’avvincente itinerario segnato dal caldo suono del mitico Martin Welzer (Dj Friction) e Philipp König (Blendbrank) insieme nella veste di Motor Mouth. Da Stoccarda ci mandano una bella sciabolata di pezzi che tanto hanno a che fare con la n.y.c. disco anni ottanta che con la sua solarità innata ricorda i più recenti Spirit Catcher o Star You Star Me. E’ proprio il caso della splendida “Horses, Cars & Stars” raggiunta da “Waiting” che invece si snoda maggiormente sul funk più acidulo e non così distante dai primi lavori di Bangkok Impact. Entrambi i pezzi sono ripresentati sul lato b attraverso due remix: il primo gode del tocco del citato Dj Friction (questa volta da solo davanti al banco mixer) che ricalca l’house-electro-disco con ritmi caldi e rischiarati da bassi corposi mentre il secondo è ad opera di James Flavour che opta per una dose maggiore di neo-tribal infiltrata nelle filigrane tipiche dei Dirt Crew, duo formato insieme all’amico Peter Gijselaers aka Break 3000.
-Fuzzy Hair “4 Happy People” (Yellow Tail): oltre ad Andrea Doria ed Alex D’Elia Andrea Engels crede nella musica dell’italiano Fuzzy Hair convogliando il suo “4 Happy People” sulla sublabel Yellow Tail. A fare la fortuna di Andrea Cerutti sono stati lavori su etichette ormai popolari come Sound Division e Southern Fried nonchè remix per personaggi di rilievo mondiale come David Guetta, Bob Sinclar ed Erick Morillo. La giovane ‘etichetta del gatto’ mette le unghie su un brano che nella Fuzzy Mix ruota quasi per intero sul basso, distorto e carico d’energia, così come vogliono le grandi platee di oggi. La Tea Mix ondeggia invece sul disegno di basso meno prevedibile catturato da effetti che si rincorrono e filtri che stravolgono la stesura lanciati come deltaplani nel cielo. A chiudere è il remix del citato D’Elia che focalizza l’attenzione sul frangente più minimale intriso di elementi tech-house e glitchy che strabordano sino a toccare il sample vocale. La fuzzy-house di Cerutti è già entrata nelle valigette di Superchumbo, Robbie Rivera, Austin Leeds, David Amo & Julio Navas, Daniele ‘Lelewel’ Davoli (che più di qualcuno ricorderà per la storica avventura coi Black Box) e Joachim Garraud.
-Ohm Square “Love Classics” (Mole Listening Pearls): stiloso almeno quanto la recente release firmata dagli Alphawezen, l’album che gli Ohn Square (un tempo nella scuderia MFS) incidono per la tedesca Mole Listening Pearls profuma di raffinata house ed anticonvenzionale downtempo, a volte spinta sino ai confini del big-beat. Le elaborazioni tonali conquistano praticamente tutte le tracce in esso contenuto a partire dalla radiofonica “Smells Like Hohm” alla spassosa “Who Needs Love”, dalla funkeggiante “What’s Within Us” alla paradisiaca “Half The Girl” (che mi ricorda il sound dei Massive Attack) sino alla romantica “Synchrosmile” e alla sperimentalista “Weightless Love Interlude” che lascia vibrare suoni estrapolati dalla consolle di una futuristica astronave. Elektro-akustische!
-Randberg Ego Ensemble “Vestamaran/Orangotango” (Full Pupp): diretta da Thomas ‘Prins Thomas’ Hermansen e Steve Kotey dei Chicken Lips la Full Pupp si dona al sound del poco conosciuto Kusjid Olaus che firma in rapida successione sia il #009 che il #010 (perchè non farne direttamente un doppio?). Nazionalità (ovviamente) norvegese per le tracce dell’esordiente producer che delizia l’apparato uditivo prima con “Vestameran”, un collage tra afro, funky e disco con vispi giri di basso e poi con “Orangotango” in cui riprende il medesimo discorso attraverso un amalgama più sinuoso dei suoni ed un arpeggio che punta il dito alla storica “Mammagamma” degli Alan Parsons Project. Il citato Prins Thomas mette poi le mani su “Vestameran” rivitalizzandone il groove, enfatizzandone il lato afro e rendendo più minimale e coincisa la linea di basso. Alla fine rimane giusto il tempo per posare la puntina su “Kepsj” agganciata al vecchio flusso tribale tagliato dal pacato basso funk. Peccato che l’aspetto melodico sia rimasto in disparte.
-Alexander Robotnick “Made In China” -remixes- (Crème Organization): se ne parlava da tempo (oltre un anno!) e finalmente è uscito il vinile che raduna i remix di “Made In China”, secondo pezzo estratto da “Krypta 1982” (dopo “The Dark Side Of The Spoon”) cofanetto che ha portato in superficie un consistente numero di inediti dell’artista toscano rimasti nel cassetto per oltre un ventennio. Dami (attualmente attivo come dj) si rimette al lavoro realizzandone una versione attualizzata da un’inedita parte vocale, un groove più marcato ed un bassline alla Beroshima mentre con l’IBM version ci si rituffa nelle sensazioni old-school. Poi arrivano gli Unit 4 (Ralf Beck e Michael Künzer, noti per “Bodydub” del 2004) con una rielaborazione che sfida le tonalità e le dissonanze e l’impavido Orgue Electronique che continua a sfruttare a pieno regime il Tb-303 e la Tr-808 del suo invidiabile Stern Studio.
-Lopazz “Kook Kook” (Get Physical Music): decisamente più estroso rispetto agli ultimi prodotti messi in circolazione da Get Physical (in primis Samim), il nuovo album di Stefan Eichinger aka Lopazz è carico di spunti house e techno che fanno capire, più che mai, che l’epoca delle suddivisioni stilistiche appartiene solo al passato. “Discogs” (un tributo al famoso sito?), “We Are” e “Bottleneck” lasciano sfilare manciate di beats a cavallo tra electro ed house, tra soul e techno mentre “Credit Card Receipt” assomiglia (in parte) al più recente Anthony Rother. Eichinger dimostra di avere affinità col panorama dark (“Play In My House”), di saper analizzare i contesti passati (“The Old Days”) e di essere in grado d’intefacciare electro, deep e minimal (“Wet Sweat”). Il romanticismo poi prende il sopravvento in “Wasted Days”, la mia preferita, a cui s’accavalla “2 Fast 4 U”, mix tra bassi funk e vocals alla Miss Kittin che richiamano lo stereotipo electro-pop. Come avrete capito ogni traccia ha una storia a sè stante e nell’insieme “Kook Kook” prende bene le distanze dalla ripetitività dei loops e dell’ostentato minimalismo in cui oggi ci s’imbatte troppo spesso.
-Billy Dalessandro “Into The Atom” (Harthouse Mannheim): il cognome dell’artista, nato a Chicago ma dalle chiare origini italiche, si è prestato di frequente a variazioni (ora D’Alessandro, poi Delassandro), contrariamente allo stile musicale perseguito sin dagli esordi (2002) che nel corso degli anni ha sempre mantenuto una sua identità . In poco tempo l’americano ha bruciato quasi 20 ep (su labels di tutto rispetto come Resopal Schallware, Force Inc., Kompute e SONICULTURE), ha confezionato vari remix (Future Forward, Daniel Mnookin, Emerson & Dubnitzky, Brian Ffar, Jason Emsley, Soultek & Suri) ed ha inciso due albums (“Midievalization” e “Starcity”) a cui oggi va sommato il terzo voluto dalla rinata Harthouse. Billy non sposta il baricentro della sua attenzione dalla funky-techno, dal microdub, dalla rivisitata jackin’ house cadenzata da bombanti effetti ed avvolgimenti progressive. Scrutando all’interno dell’atomo il producer estrapola pezzi come “Stole The Love”, “The Touch Of Death”, “Nitrogen Bass” ed “Hijack At The Firmilab” che per il loro movimento circolare potrebbero essere definiti, senza azzardo, veri e propri tools. E’ proprio il ritmo il vero protagonista di “Into The Atom”, fuso progressivamente in elementi disparati e sminuzzati (in particolare Dalessandro si sofferma sulle prevalicazioni acide) sempre ordinatamente incasellati. Quasi una concinnitas insomma, quell’ordine e rigore a cui l’americano ha sempre fatto riferimento sin dalle prime apparizioni.
-Alex Attias pres. Mustang “Let The Rhythm Get In” (Compost Black Label): il prolifico artista di Losanna (Svizzera) continua ad alimentare la già corposa discografia (in cui confluiscono produzioni edite sotto pseudonimi come Catalyst, Freedom Soundz, Xela Saitta e Beatless) con un nuovo episodio targato Mustang. La title-track mette in bella mostra un fluente ritmo balearico sorretto da voci e romantici pads che trascinano nel vortice deep. Chiari i riferimenti alla musica di Robert Owens anche in “Finding Who We Are” (riletta da Quarion), deep-house perfetta per chi appartiene alla vecchia scuola. Un tiro downtempo è invece quello di “Everchanging Time” (il remix è dei Beanfield che uniscono il soul all’elettronica) scandito da un bassline seghettato. Davvero elegante il lavoro di Attias, attualmente all’opera col fratello Stephane per la realizzazione di brani più indicati al dancefloor. E Mustang ci dà appuntamento al 2008.
-Dr. Lektroluv “Live At Rock Werchter” (Lektroluv Records): ahi ahi ahi, mi duole ammetterlo ma Dr. Lektroluv non è più quello di una volta. Questo set, registrato in presa diretta alla fine di giugno in occasione del noto evento belga, dimostra che il ‘dottore alieno’ ha disperso ai quattro venti l’amore per l’electro-pop e per tutta la scena degli anni ottanta che invece prediligeva nelle prime apparizioni (2002). “Live At Rock Werchter”, naturale prosieguo al “Live At Extrema Outdoor” dell’anno scorso, non si differenza in modo sostanziale dalle centinaia (e più) di compilations messe in circolazione nell’ultimo triennio in cui l’electro-house ha fatto da padrona nella scena internazionale. Per fortuna ci sono Feist e Teenage Bad Girls (remixati da Boys Noize), Radar (riletto da Tomboy), LFO, Kavinsky (ricostruito da Sebastian) e Klaxons (rimaneggiati da Soulwax) a tenere viva la creatività . Per il resto è solo l’ennesima passeggiata sui ritmi di Spektrum, Federico Franchi, Mason, Tiga e Polysics (una sbandierata di musica per giovanissimi) che un tempo non avrebbero mai avuto la possibilità di entrare a far parte delle selezioni del curioso personaggio belga.
-Aa.Vv. “Best Of Exun Vol. 2” (Exun): la label fondata nel 1999 di Dj Linus (che nulla ha a che vedere col Linus della radiofonia italiana) rilascia il secondo volume di una raccolta che riassume le sue tappe più recenti. Exun è un’etichetta non molto popolare che tiene contemporaneamente i piedi nella techno e nella house non disdegnando influssi jazz e funky. E’ proprio con queste convinzioni che Stefan Dörflein sceglie, per la tracklist del cd, i brani di D-Pulse, Freaky Disco, Christos Kessidis, Spacekid e Dj All*Star a cui allinea anche la sua “Hypnotism” graffiata da appuntiti bassi bleepy. Interventi rilevanti di questo secondo appuntamento con Exun sono indubbiamente quelli di Christian Kreuz alias Dj Dakar (si, proprio la metà del duo Dakar & Grinser) che, dedicandosi ad uno stile differente da quello condiviso anni addietro con Michael Kuhn, incide “Young In Paradise” e la più tormentata “You Are Freak”.
-Timelock “Prototype 0.1” (YoYo): Felix Nagorsky, 29 anni, è nato nella vecchia Unione Sovietica ma cresce a Carmiel (Israele) dove fonda prima PPS Project (per la MDMA) e poi il più noto Timelock con cui fa il giro del mondo. Dal 2005 è ufficialmente nella grande famiglia della Bne insieme ad altri accreditati acts come Infected Mushroom, Oforia, Atomic Pulse, Fatali, Basic e molti altri che tengono alta la bandiera della psytrance nel mondo. “Prototype 0.1” è il naturale follow-up di “Power Charge” (2005) ma a differenza di quest’ultimo sposta l’interesse verso la melodia eseguita anche dai bassi, corposi, energici, massicci, come la tradizione musicale israeliana tramanda ormai da qualche anno a questa parte. Nove le tracce in cui Nagorsky esprime al meglio la creatività rinnovata sotto il segno di una grinta non certamente inedita ma dalle tinte lievemente differenti da quelle che siamo soliti ascoltare, a volte vicine alla house o all’electro più generalista. Tra le tante anche il remix per “Return Of The Machines” di Oforia, l’intrigante “Activate Evolution”, la più trance-oriented “Hyber Nation” ed “Un:Balanced” che lascia scendere i bpm sotto la soglia dei 130 avvicinandosi in modo sostanziale alla più europea electro-house stile BluFin.
Electric greetz