Era davvero impronosticabile il percorso sonoro di Alexandre Paounov alias Popof (quasi omonimo del cosacco cantato da Walter Brugiolo): dalla rabbiosa Hardcore dei Rave party anni Novanta (senti dischi su Heretik, Kameezol Records o Ukandanz) è passato alla disenergizzata Tech House/Minimal Techno del nuovo millennio (“Head Cleaner”, “Blue Dream”). La sua versatilità, a questo punto, non si discute ma talvolta dietro la versatilità si nasconde voglia di adattamento e non capacità di fare bene cose dal gusto diverso. “Love Somebody” esce su una delle etichette che oggi riescono nell’arduo compito di capitalizzare la propria notorietà. Ad aprire il disco è “Words Gone” (già estratto come singolo a maggio, con l’aggiunta di remix a firma Luciano, Jamie Jones e Marc Houle di cui però non sono riuscito a cogliere l’utilità). Il brano, forse tra i meglio riusciti dell’intero lavoro, è scandito dalla voce malinconica del “cantattore” (cantautore + attore) Arno Joey montata su una base che a tratti ricorda “Body Language” (M.A.N.D.Y. vs Booka Shade, 2005). “Lidl Girl” è House banalotta alquanto trascurabile, dove l’apporto vocale è insufficiente per rafforzare l’idea flebile della parte strumentale, e “Your Eyes” non aggiunge granché e potrebbe essere scambiato per un pezzo prodotto nell’onda Electro House 2004-2006 in scia al fortunato remix che i Tiefschwarz realizzarono per “Bodydub” degli Unit 4 o “Gazebo” di Fairmont. Con “Pack & Rollin'” il francese asciuga gli elementi Pop puntando a narcolettici groove Tech House, “Going Back” (prodotta a quattro mani con Animal And Me e scelta come secondo singolo) ripesca il caratteristico basso di “Walking With Elephants” di Ten Walls (scopiazzato già da qualcuno, come Luca Guerrieri per la sua “Harmony”) a testimonianza di scarsità ispirativa. Probabilmente ideale per esaltare le folle ibizenche ma troppo fiacco artisticamente pure nei vocal col pitch abbassato, altra banalità che lo rende ancor meno convincente. Qualche punto viene recuperato con “Get Together”, roteato su ambientazioni jazzate col rhodes ed un pizzico di Funk (una pseudo citazione di “My Lady” dei Crusaders?), ma “Have To Be” che segue a ruota (e in cui è ancora il basso tenwallsiano a fare da regista) fa abbassare di nuovo il pollice. Sono gli accordi malinconici di “It’s Been A While”, che per atmosfera richiamano parzialmente “The Sky Was Pink” di Nathan Fake, a concedere l’ultima speranza prima di incappare nelle prevedibili looperie di “I Want You” e restare impantanati nell’onda minimalista di “Always In My Mind” (la seconda prodotta con Animal And Me), che pare fare il verso a “Flight LB 7475” (Loco Dice, 2006) con la voce ormai incolore di Miss Kittin. Stende il velo (pietoso) l’Outro, in modalità Downtempo, che forse è persino meglio di qualche pezzo integrale incrociato in playlist. L’info sheet in circolazione si conclude recitando qualcosa tipo «Questo album è la perfetta combinazione di ritmi House, sobria Techno ed evocative melodie vocali che ascolterete ovunque quest’estate». Alla Hot Creations hanno ragione perché questa roba otterrà davvero migliaia di ascolti (su Soundcloud sono quasi quindicimila i clic dopo appena due settimane), ma il succo non cambia: tolte poche cose, “Love Somebody” è di una scontatezza disarmante e rammarica il fatto che conseguirà più risultati di dischi ragionati ma editi da case discografiche meno avanzate nell’hype e poco preponderanti nelle operazioni di marketing che oggi, purtroppo, fanno la differenza. [Giosuè Impellizzeri]