Giocando con l’omofonia che potrebbe far scambiare il loro nome con quello della dolce crème brulée, questo gruppo di musicisti belgi irrompe «in un mondo dove la musica è diventata irrilevante e in un momento in cui la quantità viene sopra la qualità», parafrasando frammenti della loro pseudo biografia. «Armati di macchine magiche dei tempi antichi (Korg PolySix, Roland SH-5, Roland SH-101, Roland JX-3P, Roland SVC-350, Korg VC-10, Yamaha DX7, Roland Juno-106, Akai MPC1000, Simmons SDS-1000 ed altro ancora), spinti dalla pura passione e dedizione, alimentati dalle competenze degli avi, combatteranno per rendere la musica libera» dalla zavorra recata invece dalla massificazione del nuovo millennio. Ideale nobile insomma, che sonoramente si rivela come resurrezione della Synth Disco di fine anni Settanta/inizio Ottanta. Certo, i Chrome Brulée sono soltanto gli ultimi ad aggiungersi alla lista lunghissima di chi immagina il futuro tenendo un piede ben ancorato nel passato, ma rispetto ad altri che magari riciclano solo gli intenti, loro mostrano evidenti abilità tecniche non proprio comuni nell’era della digitalizzazione. A partire da “Supernova”, tra il Funk astrale dei Droids di ieri e quello dei Daft Punk di oggi, ad “Amplifier Of Intelligence”, Disco retrò dalle atmosfere inquietanti quasi da soundtrack di uno spy movie, da “Hyperstructure”, dove il suono caldo dei sintetizzatori è sempre in primo piano per un perfetto risultato inquadrabile entro la corrente Synthwave, a “System Interface”, in cui il basso si innervosisce e viene accolto nelle spire di melodie sognanti che fanno l’effetto del cinema anni Ottanta, tra Miami Vice e Ritorno Al Futuro. Non manca la slow ballad, “Elegy For A Broken Machine”, pensosa e meditativa, come quelle che spesso si trovavano sulle b side degli Album di trenta anni or sono, e nemmeno uno scorcio Prog Rock, in “Glare”, registrata live durante lo scorso febbraio, in cui la band belga mette in mostra il proprio virtuosismo a rammentare certe cose degli australiani Cybotron. Sul podio però c’è “Autopower”, eccelsa prova Electro Funk in cui vocoder e sintesi analogica vanno a braccetto per un risultato da voto con lode. Un tripudio retrò insomma, celebrato con un album irrinunciabile per gli amanti del genere. [Giosuè Impellizzeri]