Oliver Schories, da Amburgo, incide il terzo album, questa volta destinato alla sua SOSO. Nel complesso il lavoro è sufficiente ma quel che appare piuttosto evidente è l’incapacità dell’autore di andare oltre un disegno preconfezionato, preferendo invece riciclare nella traccia seguente ciò che aveva appena espresso nella precedente. “Undisguised” è Tech House che surfa su melodie appallottolate, uno strapazzato vocal ed un giro di accordi che richiamano il Vitalic di “Poney Part 1”. La recensione potrebbe terminare qui, perché d’ora in poi seguiranno tracce dalla medesima costruzione e scelta timbrica. Da “Copilot” (atmosfere scure, suoni cristallini, voci pitchate in basso) a “Brizzle” (qui l’andazzo è Progressive House, forse utile per la pista ma fiacco in termini creativi), da “Fields Without Fences” (che non si schioda dagli elementi già descritti) a “In Other Words” (in cui tira dentro qualche rondò orchestrale). C’è qualche ripassata di “Marionette” di Mathew Jonson (in “Never”) e di “Gazebo” di Fairmont (in “Missing Empathy”), ed una sequela di brani in serie (“Homeboy”, “Late Checkout Tbc”, “Daily Routines”, “Oil”, “Super Sunday”), che in mezzo ai (soliti) dipanamenti groovici vedono le (solite) chiazze chiaroscurali e le (solite) voci effettate. Insomma, alla fine pare per davvero di ascoltare un solo brano, variato dodici volte nel tema. Un disco monocolore, monogusto, monotematico, monocorde, insomma, mono. Ai tempi delle citate “Marionette” e “Gazebo” qualcuno la chiamava Neo Trance, oggi si divertono nell’affibbiargli nomenclature tipo Deep House, Future House o Tropical House ma di realmente nuovo, qui, non c’è niente, e se fosse stato presente l’aspetto canzonettistico (manca per scelta o per incapacità?) che lo avrebbe reso accessibile alla massa e “poppizzabile”, Schories sarebbe finito nel calderone insieme a Klingande, Robin Schulz, Oliver Heldens e Clean Bandit. [Giosuè Impellizzeri]