“Fatale” riprende il discorso lasciato in sospeso da “Varla” qualche mese fa. Le tematiche restano le stesse, come l’impostazione generale dei suoni, le attitudini, la voglia di riscoprire un certo tipo di Electro irrobustita dalla Techno (o forse Techno fusa in crogioli Electro?), il desiderio di soffiare energia in quel suono di drexciyana memoria rimasto un modello da seguire per un numero imprecisato di compositori sparsi per il mondo. Di Black Narcissus si sa (ancora) poco e niente: un post su Facebook scritto lo scorso 14 maggio dalla WéMè Records, attribuisce la paternità del progetto al Jodey Kendrick attivo su Rephlex, ma nulla di ufficializzato. Non è certo un problema, questa musica vive in virtù della sua sostanza e non per effetto ridondante di quel che gravita attorno, rammentando peraltro il tipico anonimato dei primi anni novanta che per la Techno fu un’età contraddistinta da assenza quasi totale di indicazioni biografiche. Così come nel citato “Varla”, poca attenzione è rivolta ai titoli ridotti ad una sequenza di numeri, ma accade esattamente l’opposto nei contenuti audio. In dieci tracce l’autore sviscera tutto l’amore nei confronti di quella Electro Techno divinizzata per la ricerca timbrica, per i ritmi sussultori, per le ambientazioni acquatiche e fantasmizzate, per l’ipnosi non riconducibile alla mera ripetizione di misure. Le dieci sfaccettature di “Hrdwar” oscillano tra vibrazioni esoteriche e battiti bellici, a tratti liquefatti e poi (ri)solidificati, quasi se fosse magma sputato fuori da un vulcano. I bassi meccanici sembrano attivati da un robot a cui seguono i ritmi in una processione feroce. Se James Marcel Stinson fosse ancora con noi, avremmo potuto indicare Black Narcissus come una delle sue trasfigurazioni tipo Transllusion (“The Opening Of The Cerebral Gate” è stato ristampato recentemente dalla Tresor) rispetto a cui “Fatale” pare davvero una naturale prosecuzione. [Giosuè Impellizzeri]