Ho sempre avuto un debole per la Techno con gli occhi a mandorla: Takkyu Ishino, DJ Tasaka, Shin Nishimura, Fumiya Tanaka, Hitoshi Ohishi, il compianto Kagami, Susumu Yokota, Ken Ishii, Ryukyudisko, Toby Izui, Co-Fusion, Chester Beatty, DJ Shufflemaster, Yamaoka e Bekkou, giusto per citarne alcuni, appartengono alla folta schiera di agguerriti artisti che hanno saputo innescare, sin dagli anni Novanta, un processo evolutivo alla musica elettronica in un Paese come il Giappone, geograficamente lontano dalle tendenze europee. DJ sin dal 1989, anche Masaya Kyuhei, in arte Q’hey, merita di essere annoverato nella lista. Considerato uno dei pionieri della Techno a Tokyo, nel 1998 fonda la sua label, la Moon Age Recordings, ed è prescelto dalla Roland per comporre demo e pattern per MC-505 ed MC-909, famose groovebox che hanno rivoluzionato la composizione di musica elettronica tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Insomma, uno che di cose ne ha fatte e che oggi ritorna con un Album (il primo da solista, escludendo “Planetary Alliance” del 2007 realizzato a quattro mani col citato Nishimura) che macina tanta Techno, con un occhio al futuro ed uno al passato. Dodici le tracce racchiuse, intense ed energiche, con venature retrò (“Apache”, che sembra sviscerare un suonino di “Are Am Eye” di Commander Tom, “Jack”, “Tied Up”), divagazioni darkeggianti strette nei loop (“North Wind”) e scorci Ambient (“Accord”, “Signal”, “Montreux”). Spazio anche a battute più rilassate (“Give Me”), alla grinta di un break imbastardito (“Buddyroid”, con Hideo Kobayashi) e ai modernismi di taglio europeo (“Cut The Crap”, “Wasteland”). Per concludere c’è “Enter”, realizzata con Daisuke Sakata, appiglio col mondo minimalista della M_nus, e probabilmente il titolo stesso rivela la provenienza delle ispirazioni (Enter è infatti il nome dei party ibizenchi curati da Hawtin). Un Album ambizioso, con cui Q’hey sembra voler fare capolino negli affollatissimi festival europei.