Talento spiazzante o fenomeno temporaneo gonfiato dall’hype? Di Kalkbrenner si parlava anche una decina (e passa) di anni fa quando, messo sotto contratto da Ellen Allien, iniziò a suggere le atmosfere sospese dall’Ambient e dal Downbeat più etereo al fine di reimpiantarle su schemi in 4/4, più o meno violenti. Musica suggestiva, se si pensa a brani come “Guardia”, “Steinbeisser”, “Atzepeng” o le paradisiache “John 3-21” e “Press On”, animate dalla voglia di addolcire ciò che la Techno ha quasi sempre suggerito di fare a chi l’ha prodotta, ossia “rumore” creativo. Nella sua musica Kalkbrenner placa l’animo più adrenalinico, rallenta le pulsazioni, sostituisce lo stridio dei synth elettronici alle curve melodiche degli archi, e tutto ciò lo caratterizzava in mezzo a mille altri che invece vedevano l’inselvaggimento come postulato imprescindibile di ogni brano Techno che si rispetti. Con la destrutturazione globalizzata della Techno, e la quasi fusione con la House, il sound di Kalkbrenner ha però finito col mischiarsi e confondersi in mezzo ad altri tools spesso troppo uguali l’uno all’altro, ma con una sostanziale differenza data dall’incredibile buzz innescato dalla pellicola “Berlin Calling” con cui il suo nome si è ripiazzato, trionfalmente, al vertice di una scena in cerca perenne di miti. Certo, un pezzo come “Revolte” fa capire come Kalkbrenner abbia vissuto l’epoca dei Rave, ma chi l’ha scoperto con “Sky And Sand” (in compagnia del fratello Fritz) continua a gridare al miracolo, seppur di miracolo, forse, non si può parlare. “Icke Wieder” è un lavoro di buona fattura, e questo non lo si mette in dubbio, ma non sembra aver conquistato nulla di nuovo rispetto a quello che era già accaduto in precedenza. “Böxig Leise” è un chiaro surrogato della citata hit “Sky And Sand”, “Gutes Nitzwerk”, “Jestrüpp”, “Kleines Bubu”, “Sagte Der Bär”, “Kruppzeug” e “Schmökelung” non aggiungono nulla alla produzione su BPitch Control. “Schnakeln” e “Des Stabes Reuse” si spostano verso l’Electro Progressive che gli inglesi hanno più volte dimostrato di saper fare anche meglio (provate a cercare qualcosa di Random Factor o di Ralph Lawson), e “Der Breuzen” si rifà ancora a certe cose anglosassoni di metà anni Novanta (in stile Bedrock Records). Di veramente “fresco” o inedito qui ci sono solo i titoli, quasi impronunciabili per noi italiani, e forse per questo attrattivi. Ed allora torno a domandarmi se Kalkbrenner abbia ancora degli assi nella manica da giocare, o sia l’ennesimo degli artisti che hanno visto l’azzeramento creativo in seguito ad un hype che ne ha variato, in modo incontrollato, la loro dimensione.