Avete mai pensato a Ceephax senza la sua fida TB-303? E’ come parlare di una Ferrari senza motore, di un pianista senza mani, di uno studio di registrazione senza casse, di una farmacia senza farmaci e così via. Nell’ideale proporzione matematica Andy Jenkinson sta all’Acid come il nero alla pece o il dolce allo zucchero, sin da quando iniziò la sua odissea incidendo su Breakin’ Records e finendo su Rephlex, certamente per merito e non per spinta del fratello maggiore (Squarepusher). Jenkinson è uno che non ama dosare la creatività, e che preferisce stupire anzichè legare a sè i fans con cose trite e ritrite. Il rischio che corre in questi casi è quello d’incrinare il rapporto con chi vede in lui la proiezione umana dello strumento ideato da Tadao Kikumoto, ma il supporter intelligente capisce che le variazioni nascono come evoluzione, qualità necessaria alla musica underground per evitare la stereotipazione tipica del mainstream. Ed allora ecco servito un succulento EP in cui il ruvidume della 303 viene messo quasi in disparte, suonato con la sordina per lasciare il giusto spazio ad un altro cosmo sonoro che l’inglese ci somministra traccia dopo traccia. Inizia con “South Bank”, incastrando l’Acid House di Chicago nell’Electro Disco olandese (un pò velocizzata) alla Mr. Pauli o Alden Tyrell, non dimenticando neanche sviolinate di SID style, e poi ferma tutto quello che aveva sinora creato con “Testing Ground” che si accascia in melodie ribollenti tra l’IDM e l’Ambient cinematografico, un pò soporifero ma con quel tocco epico e magistrale che fa del pezzo ben più di un intro/outro. Quando suona “Nigel Ringtone” si rimette (ancora) tutto in discussione, questa volta incrociando virtuosismi drexciyani alla geometrica linearità Disco di DMX Krew, sfoderando un risultato meno gelido rispetto alle produzioni Electro di Detroit, anche per via degli square wave che tanto ammiccano alla cultura giovanile degli Ottanta. Il mondo a pixel giganti viene riproposto con solerzia e scrupolosità in “Refresher”, un boogie felice e spensierato che potrebbe incorniciare la foto di una gita primaverile fuori porta, una di quelle con la tovagliolona a quadrettoni e cestino in vimini con bibite e panini. “Russia” è uno spassoso come-back su quell’Electro Disco che, dieci anni fa, anche i tedeschi sapevano fare bene, con melodie finniche un pò malinconiche (ricordate gli Ural 13 Diktators di Helsinki?) a fare da apristrada. Chiusura in stile rabbioso con “Woof Acid”, ripescaggio della Rave music anni Novanta, abbracciata ad un frullio apocalittico di arpeggi di plastica ad 8 bit, compressi in un ciclone di suoni ed atmosfere retrò. Un disco che si pone sulla linea di mezzeria tra il mondo dei vecchi videogiochi e quello degli smiles gialli dell’epoca Acid House.