Era inevitabile che, dopo vari singoli (apprezzatissimi nell’ambiente) e qualche remix, i Den Haan incidessero un album per glorificare il proprio sound. Il duo di Glasgow, formato da Matthew Aldworth (che circa dieci anni or sono si fece notare in veste solista come Crème De Menthe) ed Andrew Gardiner, si è sempre dichiarato un sostenitore di Italo Disco ed Hi NRG, ed infatti questo full non fa altro che centrifugare con veemenza i due generi-icona degli Ottanta. Musica che fa ballare, certo, ma che vorrebbe anche far cantare, visto che l’ultimo lustro di clubbing è stato caratterizzato da un suono troppo freddo ed impersonale. Iniziando con un intro che, a giudicare dal titolo, forse sarebbe stato più opportuno usare come outro (“The End”), Aldworth e Gardiner si lanciano a capofitto nel combo Electro Disco con la title-track, tanto vicina alla scuola olandese di Viewlexx, I-F, Alden Tyrell e soci, con melodie emerse dai tasti di vecchi sintetizzatori analogici e parti vocali eseguite al vocoder (e qui il riferimento corre a Mr. Flagio e l’indimenticata “Take A Chance”). Poi ancora un attimo di pace, con la paradisiaca “The Arrival”, giusto il tempo per riprendere fiato prima di tornare a muoversi coi beats della già conosciuta “Heist” e delle cowleyane “Universal Energy” e “Russian Boat Commander” che condensano tutti gli elementi un tempo tipici della Dance prodotta tra 1982 e 1987. E’ scontato che i riferimenti degli inglesi restino non le hits da balera a cui la maggior parte degli italiani lega i ricordi pensando al decennio dei paninari, e questo lo capiamo dalle già edite “Release The Beast” “Looking For Love” e “Metamorphosis”, “Night Shift” (era sull’ormai defunta Dissident), “Burning Desire” (una sorta di rework di “Burning Cock Theme” su Supersoul Recordings) e “Digital Fantasy”, che riporta ai fasti del Bobby O sospinto in territori Rock (ricordate “A Man Like Me”?). “Gods From Outer Space” è un lavoro coerente ed ispirato, ma tutto sommato avrebbe potuto essere ancora più ricco giacchè di inedito, per i più attenti, resta ben poco, e alla fine qualcuno potrebbe anche definirlo, a ragione, un’antologia ricavata mettendo insieme quasi tutto quello che i Den Haan hanno prodotto dal 2009 in poi.