Solitamente gli artisti di Colonia ci riservano musica dal tocco astratto e minimalista, influenzata congiuntamente dall’amore per le sonorità profonde del Deep e la circolarità del loop. Nel cosmo dei Kitbuilders però tutto viene messo in discussione. Definiti (giustamente) dal magazine statunitense XLR8R come “un ibrido tra passato e presente”, Bernhard Lösener e Cordula Schütten sono la risposta europea più logica ad acts d’oltreoceano come ADULT. o Fischerspooner, rappresentanti della fusione tra Electro, New Wave e Punk. Attivi dal 1997, arrivano ad incidere il secondo album dopo “Wake Up” del 2001 (poi pubblicato anche in Italia). In “You Trashed My Mind” l’energia è alternata in 15 tracce sofisticate ma non troppo, senza eccedere in quegli sperimentalismi che il più delle volte restano incompresi. E’ possibile suddividere il lavoro in tre branche: quella che fa riferimento al connubio Electro Punk, talvolta segnato da ritmi animaleschi, quella inscritta nell’Abstract e Broken Beat, e quella per certi versi collegata ad una House/Techno dalle venature 90s. Il percorso inizia proprio con la cassa dritta (spalancata di fronte ad una sorta di Piano House) di “Disco Obsession”, ma è solo un accenno giacchè da “Follow Me” il registro di suoni inizia a variare, mantenendo l’estetica del retrò (i synths sono quelli che portarono al successo mondiale i dischi della Media Records). Sulla title track si potrebbe azzardare il paragone con Gina X, con quelle scie quasi EBM che si ritrovano anche in “Bodies”, “All About”, “We Don’t Talk”, “Animal” e “Can’t Escape”. Come già detto, la coppia di Colonia direziona la sua attenzione anche ad un suono meno chiassoso e più concettuale, incastrato tra frequenze gracchianti ed oscillazioni Ambient ed IDM tipiche di Gudrun Gut, Jan Jelinek o Barbara Morgenstern (“Get You Boy”, “Spellbound”, “I Try”, la distorta “Burning Bridge” e “Shoot You”). Poi tornano a spezzare i ritmi con le sincopi di “Drawing A Line” (memore di quel che accadeva sulla World Electric di Bolz Bolz) e la magnifica “City Of The Damned”, stanziata tra il Rother di dieci (e passa) anni fa e l’Electro detroitiana della UR. Un album che finalmente riporta in attività i Kitbuilders dopo qualche anno di silenzio, e che fornisce argomenti di rilievo a chi pensava al duo di Colonia solo come una specie di riempitivo quando nel 2002 fu affiancato, su Art Of Perception, a John Starlight e la fortunatissima “Blood Angels”.