E’ già da qualche settimana che ascolto ininterrottamente le tracce del nuovo EP di Rodion, e nessuna di esse mi ha ancora stancato. Segno che il suono che l’artista capitolino ha confezionato (anche insieme a guests di tutto rispetto) per il nuovo progetto destinato alla label tedesca dei Munk è pregno di sostanza e sentimento. In un mondo musicale che ormai sembra lasciare sempre meno spazio alle emozioni e nel quale si parla più di ‘numeri’ che di ‘cuore’, “For Ever” è per davvero una voce fuori dal coro, soprattutto se teniamo conto il deludente e scialbo panorama musicale nostrano, che di novità non ne vuole sentire proprio parlare. “Hold On Rodion” apre le danze, con una Disco terzinata puntellata dai classici suonini del mondo vintage, dalla chitarra di Jeppe Kjellberg (WhoMadeWho) e dalla calda voce di Khan (dei Khan Of Finland). In coppia col concittadino Hugo Sanchez invece modella la forma di “D.I.S.C.O. Rewind”, scanzonato inno di Electro Disco modernista, colorito da sorridenti quanto curiosi incastri di samples vocali e vocoder e in cui davvero niente corrisponde al quasi omonimo degli Ottawan che oggi sentiamo sovente nelle balere (“D.I.S.C.O.”, del 1979), se non la voglia di far baldoria e lo spelling (punteggiato) del titolo. La title track, “For Ever”, è il risultato della sinergia con un astro (non più nascente, visto che è in circolazione da circa sei anni) della Nu Disco italiana, Fabrizio Mammarella, che gli sbadati (?) discografici italiani si sono lasciati soffiare dall’inglese Bear Funk, mai restia nel credere nella musica di un talento del genere. Il brano elabora al suo interno diverse componenti che ne fanno qualcosa di completamente ispirato, dalle melodie sommesse, quasi tristi e malinconiche, all’assolo del vocoder vox che fa da collante tra il mondo della Disco, delle chitarre e dei picked bass, e quello degli androidi extraterrestri coi loro dischi volanti, pistole laser dai raggi immobilizzanti e traduttori linguistici simultanei. Con “Alagoas Cowboys”, questa volta firmata da solo, Rodion mi lascia spiazzato. Basso rotolante ed un motivo fischiettato contribuiscono alla creazione di un pathos emozionale non indifferente, e quando entra la parte vocoderizzata, dopo il terzo minuto, ogni singolo suono sembra lavorare per la crescita dell’armonia, localizzata tra l’epico e il medievale. Rallentando le pulsazioni ritmiche poi l’autore forgia “Piano Song”, in cui sfoggia il suo romanticismo più spiccato eseguendo la melodia al pianoforte e rigandola con tutta un’impalcatura di suoni sognanti, quasi da fiaba incisa su quei polverosi vinili cantastorie diventati ormai cimeli museali. A chiudere è “Estate”: mai ci fu conclusione migliore. Il pezzo, ancora intriso di quelle uniche atmosfere ‘rodionesche’ tra il martellio electroide e le sciorinate di assoli di sassofono, vanta il featuring di Louie Austen, arzillo ultrassessantenne viennese dedito al Jazz e al Blues che si è ritrovato nel mondo dell’elettronica per colpa (anzi, per merito) di Mario Neugebauer e Patrick Pulsinger che, nel 1999, produssero il suo album su Cheap. Quella singolare collaborazione transgenerazionale adesso riprende forma attraverso la cover del brano forse più famoso del compianto Bruno Martino, in chiave moderna ma in grado di preservarne il suo animo gentile e delicato. Lasciare un EP di questa caratura murato nel formato digitale ci sembra davvero un’eresia, ma a Monaco, pare, abbiano già deciso. Certa musica meriterebbe di essere ‘toccata’, oltre che sentita.