Rigenerando anno dopo anno il suo sound e marchiandolo, di volta in volta, con un nuovo moniker, Roland Sebastian Faber è indubbiamente uno dei più prolifici e longevi producers del Regno Unito. Attivo sin dai primi anni Novanta e storico collaboratore di Boy George (col quale, qualche tempo fa, formò i The Twin e i The Kinkyboy), Faber è uno che nella sua lunga carriera ha prodotto un pò di tutto, dalla Tech House di Belle Ville alla Rave Techno di Dream Plant, dalla Trance ed Hard Trance di Hyber Nation e Kinki Roland all’Italo Pop Disco di Replicant, dalla Jungle di Tribe 606 alla Speed Garage di Rude Boy, dimostrando una versatilità che davvero pochi possano vantare. Negli ultimi anni, forse stanco di ricercare nuovi aliases da aggiungere ad una lista già abbondantemente corposa, preferisce uscire allo scoperto col suo nome anagrafico siglando un patto d’amore con l’Electronic Disco, egregiamente trattata sia nel “Hommage An Die Jugend Europas” del 2007 che nel “Wettkampf Der Moleküle” dell’anno dopo. Col nuovo “Gropiusstadt EP” ci consegna un degno successore e follow-up, che va ad impreziosire le collezioni (viniliche) degli appassionati di musica Electro dalle venature retrò. Dentro “Löffelkinder” il musicista mette quello che estrapola dai repertori Electro, Synth Pop e New Wave, combinandolo con una destrezza senza pari. La lunga stesura lascia affiorare gli elementi in progressione, come fossero scogli fuoriusciti dalle acque oceaniche, tenendoci incollati sino alla fine. La title track, “Gropiusstadt”, come accaduto nei due citati precedenti episodi, tende a riscoprire fedelmente e con coscienza il suono che ci hanno lasciato in eredità bands storiche come Kraftwerk, Tangerine Dream, Future World Orchestra ed altri appartenenti alla vecchia scuola tedesca del Krautrock di fine anni Settanta. Faber plasma magistralmente un’orchestralità analogica (è plausibile l’uso del Moog), avvinghiata a rievocazioni Rock ed Ambient cinematico (Vangelis), sorreggendo il tutto con un beat tipico dell’Electro 80s che fa da ponte tra due scuole di pensiero non troppo distanti l’una dall’altra. Anche in “Morgengrau” le citazioni per quella che è stata la psichedelia elettronica di oltre trent’anni fa si sprecano: è una vera festa di suoni analogici, di filtri e ADSR manualmente calibrati, di effetti che, per e con la loro immediatezza, rivelano una non riproducibilità tipica invece della metodologia digitale. Anche qui c’è la scia del mondo cinematico, dell’Ambient e della musica da ascolto fatta confluire, quasi magicamente, nel fantasioso cosmo pseudo danzereccio dell’etichetta di Düsseldorf diretta da Aube Velan e Michael Künzer, in cui passato e presente viaggiano sempre su corsie parallele.