Electro e Techno sono, da sempre, due generi che esprimono e sentono su sè stessi l’evoluzione della tecnologia e dei processi scientifici. La Techno, dalla seconda metà degli anni Ottanta, ha tracciato una linea parallela alle scoperte legate al computer mentre la più anziana Electro, sin dagli anni Settanta (Kraftwerk), ha immortalato il mondo dominato dalle macchine e dai cervelli bionici. Se i profeti della Techno hanno preso il sopravvento sugli sviluppi dell’elettronica applicata alla musica, quelli dell’Electro continuano ad essere guidati dall’idea di dover siglare il momento dello sbarco alieno sul nostro pianeta. Mandroid, dall’Inghilterra, segue esattamente questo schema mentale: le sue poche ma sempre esaltanti produzioni, l’hanno ormai consacrato come uno dei più accreditati esponenti della corrente post-kraftwerkiana. In questo album, il primo della sua carriera iniziata nel 1997, Adrian D. Rataj esalta la tematica della discussa venuta sulla Terra di popolazioni extraterrestri. La principale vocazione risiede esattamente nell’interpretare, in musica, lo stupore che noi tutti proveremmo nel fronteggiare creature venute dallo spazio. “Spaced Invaderz”, come un prologo, apre il cancello cosmico e assurge il ruolo di inno alla (fanta) scienza. Mandroid forgia essenzialmente musica Sci-Fi: “Mind Raped” si eleva da una nebulosa di scoppiettanti blips, “New World Order” (concetto legato prettamente alle letture fantascientifiche) ci fa capire come i mentori di tutto siano Egyptian Lover ed Arabian Prince, “Lab Coat Trauma” è un codice binario di suono geometrico, pizzicato sull’armamentario polveroso (vecchie Roland, Korg, Ensoniq, Prophet, OSCar), “Elektrik Kokaine” pare svecchiare il suono (comunque senza tempo) dei Kraftwerk, “Remote Controlled Worlds” (altro tema che paga il tributo ad Asimov e a quelli che hanno dimostrato di essere ben più di scrittori visionari) è l’esaltazione del vocoder che troneggia su avvolgenti melodie e ritmi spezzati. Passando per qualche sottile ironia (“No Space Left In Space”), Mandroid dimostra di poter fare a meno della batteria (“Aspektive Thought”, è privata di ogni riferimento ritmico, ad eccezione di pochi boom della TR-808), e questo fa di lui un compositore completo dal punto di vista stilistico. La title-track, “Anti-Gravity Machines”, altro esempio di connubio musical-scientifico, viene riproposta anche in tre remix: quello degli Aux 88 è perfettamente in linea con lo stile Electro di Detroit (a cui Rataj fa anche riferimento), quello di Morphogenetic lo traduce in chiave acidula, con un tripudio di leads sinuosi in pullulanti blips, quello di Sbassship rasenta l’Ambient nell’articolazione delle melodie, posate con dolcezza sul ritmo quasi liquefatto. A concludere due bonus tracks: l’Electromagnetic Fusion Mix di “Anti-Gravity Machines”, racchiusa entro blocchi di suadente potere ipnotico, e la Disclosure Project Mix di “New World Order”, eccellente esempio di Robotic Hip Hop Electro, in stile Dynamik Bass System o Dagobert. Tra i credits anche un ringraziamento a Steven Spielberg, che la dice lunga su quanto la musica Electro di questo tipo sia stata influenzata primariamente dalle pellicole di fantascienza.