Corre il 2001 quando sottopone a DJ Hell il suo “Poney EP”: è bastato quel 12″ a Pascal Arbez per imporre il suo nome e la sua musica in tutto il mondo. Prima d’allora solo qualche lavoro minore, celato da pseudonimi come Hustler Pornstar e Dima, incapaci di valicare i confini dell’underground. E’ stato quando ha deciso di vestire i panni di Vitalic che la sua vita è stata rivoluzionata: International Deejay Gigolo dirama una biografia curiosa, che lo dipinge come un gigolo e gli attribuisce la nazionalità ucraina. In realtà parte della sua famiglia emigra in Francia proprio dall’Ucraina ma la madre è italiana. Sarà forse questa miscellanea etnica che gli fornisce la capacità di trattare con assoluta destrezza stili apparentemente discordanti. La sua musica è stata recentemente definita Disco Rock, vicina a quella di Daft Punk e Justice, in cui le distorsioni giocano un ruolo primario e fondamentale. Questo lo si capì già nel 2005, quando uscì il trascinante “Ok Cowboy” che racchiudeva anche qualche traccia sfacciatamente commerciale (“My Friend Dario”), e viene confermato oggi quando nei negozi arriva il follow-up, “Flashmob”. Pubblicato ancora da Different e PIAS, l’album è un concentrato di energia post Techno che fa di Vitalic uno dei nomi più interessanti della fertile scena francese, considerato nel contempo un pioniere ed un innovatore. Gli echi di “Poney” si rincorrono in “See The Sea (Red)” (dove c’è anche qualche referenza ai Justice) e “One Above One”, il cui potenziale commerciale è amplificato dalla parte vocale femminile in stile Madonna. Pop anche il contenuto di “Poison Lips” che per la voce sibillina alla Sally Shapiro potrebbe essere confuso con una sorta di remake di “I Feel Love” di Donna Summer. Più sognante poichè cullato da melodie dissonanti, è “Still”, contrastato dalla Techno stroboscopica e daftpunkesca di “Flashmob”, dalle percussioni Hi NRG di “Terminateur Benelux” e dall’incisiva Electro Techno di “Second Lives”, romanticizzata come solo lui sa fare. Vitalic mischia Rock, Disco, Electro, Techno, Pop ma anche Italo Disco, che fa rivivere in “Allan Dellon” su scenari contemporanei. Attraversando “See The Sea (Blue)”, esclusiva per il formato CD, si raggiunge l’Electro Pop di “Chicken Lady” in cui campeggia un vocoder striato e quasi incomprensibile, “Your Disco Song” dai riffs sbilenchi alla Deadmau 5 e “Station Mir 2099”, Cosmic Disco modernizzata ed avvicinata alla Trance. Il disco della consacrazione.
–=UHU=-/Juanpablo “The Quest Goes On EP” (Frigio Records): arriva dalla Spagna questo EP la cui tiratura si ferma alle 300 copie. Il lato a è di -=UHU=-, personaggio di cui abbiamo parlato più volte evidenziandone la stretta correlazione con l’Electro post Drexciyana. “Planet Bay” è segmentata su basslines sequenziali, giocati sull’incastro tra cutoff/resonance e sorretti da arpeggi e melodie ancestrali. Più mentale il seguito offerto da “The Quest Goes On”, su cui striscia un sub-bass che tanto rammenta “Myon-Neutrino” di Dopplereffekt e tutto un tappeto di suonini tratti dall’Ambient e dal mondo della fantascienza (se chiudete gli occhi avrete l’impressione di trovarvi nella sala comandi di un’astronave). Cassa più marcata invece per Oldest Language” di Juanpablo, protagonista del lato b, che rispolvera parte della Trance ipnotica tedesca (ricordate i Der Dritte Raum e la mitica “Hale Bopp”?) combinandola con lampeggianti blips. A seguire “Red Monserrate”, ubicato ancora su scorci anni Novanta (soprattutto per il movimento scomposto del rullante), e su un sequencer acido.
-Munk “Back Down” (Gomma Dance Tracks): sembra che negli ultimi tempi Munk sia diventato il progetto solista di Mathias Modica (e la copertina del disco in questione ce lo conferma), mentre il socio Jonas Imbery ha iniziato a vestire i panni di Telonius. Reimpasti organizzativi a parte, questo nuovo Gomma Tracks è davvero figo. Trainato dalla classica sovrapposizione tra House, Electro e Disco, “Back Down” gode di ben quattro remixes, tutti di ottimo livello. Dal Cut Copy, ridente Funky Disco, al L.U.C.A. proiettato ancora di più negli anni Settanta e nell’ambiente di qualche telefilm celebre dei tempi (Charlie’s Angels?) sino al Migumatrix, che effettua panoramiche su beats moderni. I Cut Copy fanno largo al loro istinto più Housy nell’altrettanto valido Jackmaster Remix. Da comprare ad occhi chiusi ed orecchie ben aperte.
-James Ruskin “The Outsider” (Blueprint): indiscusso leader della scena Techno britannica con una storia che affonda le radici nell’Electro e nell’Hip Hop di metà anni Ottanta , Ruskin torna sulla sua Blueprint a pochi mesi dal “Sabre/Massk”, di cui parlammo in Electronic Diary #238. “The Outsider” presenta una buona evoluzione ritmica con suoni che, nella prima sezione, compaiono qua e là come meteoriti vaganti nello spazio che lasciano la scia come segno del proprio passaggio. E’ dopo il secondo minuto che il tutto acquista un profilo più delineato, grazie ad un ipnotico bassline che funge da guida. Clamoroso il remix di Luke Slater che orchestra un mantra di suoni che sembrano azzannare voracemente il loop di batteria, per poi lasciar salire un basso forse tratto dagli anni Ottanta (a me ricorda Divine). Il break al quinto minuto, poi, contribuirà nel mandarvi in estasi. Sul vinile c’è spazio anche per una terza traccia, “Solution”, in cui il movimento scomposto della cassa crea un piacevole effetto controtempo. Anche in questo caso il brano racchiude tutto ciò che lo fa appartenere, senza indugi od indecisioni, alla Techno. L’effetto in pista è garantito.
-Plain Pits “Requinto” (BCBtec): a firmare “Requinto” è il progetto, tutto italiano, dei Plain Pits (Cerrini e Frank Kobak). Investigando sulle nuove possibilità esplorative che la tecnologia permette di effettuare sul segmento della House music, il duo foggiano incide un brano in cui le percussioni giocano un ruolo decisamente fondamentale nella stesura. Matrice Tech House quindi, per uno pseudo-tool inframmezzato da intelligenti breaks e ripartenze sempre d’effetto per chi balla. Depurandolo dal flusso percussivo, Jay Shepheard costruisce un remix che tende ad avvicinarsi alla Deep e Progressive House, con pads romantici e decisamente d’atmosfera. Ancora Tech House, con l’aggiunta di voci latine e percussioni, è “Kinnin”, che però scorre via senza sorprese rilevanti. Il bonus per chi opta per la versione digitale è “Huma Walalegn”, che personalmente avrei visto meglio sul 12″ al posto della precedente: ad emergere è il gioco con un paio di samples vocali affogati in un groove che sa bene quando fermarsi e quando ripartire.
-DJ T-1000 “Blaster EP” (Pure Sonik): nel nuovo Pure Sonik c’è di tutto: Techno, Electro, IDM, ma mai in disordine o inserite per il semplice gusto di cavalcare più stili nello stesso momento. Per quei pochi che non lo conoscono ancora, Alan Oldham è uno dei talenti emersi dalla città dei motori (leggi Detroit) alla fine degli anni Ottanta, che ha alternato la vena produttiva musicale a quella di grafico (sue alcune illustrazioni per i primi Transmat). Per Pure Sonik, risorta da pochi mesi dopo un lungo periodo di letargo, sceglie tre tracce che meglio rappresentano i suoi vari istinti sonori: dai boati Techno Funky di “Blaster”, gonfia di bassi ed articolata su un veloce susseguirsi di effettistica applicata al ritmo, all’Electro breakkata di “I Rock Shit Everyday” in cui il precedente vigore viene sopito dai movimenti sincopati e da voci filtrate attraverso il chopper. Il viaggio si conclude su “Machines”, dove l’artista sbriciola del tutto il groove con cui era partito, riducendolo in una poltiglia di suoni digitali incatenati su un lancinante ipnotismo metrico.
-Sebo K “Watergate 04” (Watergate Records): dopo Onur Özer, Sascha Funke e Konrad Black la scelta cade su Sebo K. E’ lui ad ‘assemblare’ il nuovo mix-cd per il noto club berlinese che sorge sulle rive della Sprea. Nel suo itinerario si fondono House e Techno ma l’orecchio vola anche al suono Progressive e Deep. Rick Wade, Mood II Swing, Session Victim, Daze Maxim, Guillaume & The Coutu Dumonts, Sid Le Rock e vari dei DOP scorrono in una tracklist piacevole e senza mai cadute di stile, che ci fa comprendere quanto si sia evoluta la House music nell’ultimo decennio. Un buon lavoro per Sebo K, attivo sin dai primi anni Novanta ma riuscito ad emergere solo qualche anno fa grazie alla collaborazione con Anja Schneider.
-Karo “Sing Out, Heart!” (Normoton): autonoma al 100% in tutto quello che fa (dalla produzione della musica alla stesura ed interpretazione dei testi) Karoline Schaum alias Karo è alle prese col suo primo album. “Sing Out, Heart” fa da cassa da risonanza per le molteplici ispirazioni dell’artista tedesca: da Jeff Buckley ad Ella Fitzgerald, dai Portishead a Cat Power e Feist, alternando, molto rapidamente, il Trip Hop al Rock e il Downtempo all’Indie. La Schaum vive in un mondo tutto suo: a farle scoprire MySpace è stato un amico che le suggerì, tempo fa, di aprire un profilo su uno dei social networks più noti al mondo. Dopo aver caricato un paio di demos nel player, era già saltata una data per una gig in Francia. Una label del Lussemburgo si fa avanti per pubblicare il suo materiale ma, insoddisfatta, punta alla Normoton che adesso manda in stampa l’album in questione, visionario e talmente incoerente con le mode da diventare uno scudo da usare contro ogni banalità. Karo canta prima toccando le corde dei sentimenti (“Not In Love Song”, “Gold Star”) e poi per far muovere i corpi (“My Heart Is Bent”, “All Is Light”) facendo dell’astrattismo stilistico il suo primario punto di forza.
Electric greetz