Probabilmente la techno tedesca sarebbe stata diversa se non ci fosse stato Dj Hell. Assoluto precursore delle mode, Helmut Geier è citato spesso per il suo forte spirito intuitivo che più di una volta gli ha dato la possibilità di arrivare prima degli altri a risultati strabilianti. Instancabile nella professione da dj, che inizia nel 1978, il monegasco si dichiara producer nei primissimi anni novanta militando tra le file della Disko B di Peter ‘Upstart’ Wacha per cui incide svariati 12″ e due album, “Geteert & Gefedert” del 1994 e “Munich Machine” del 1998. E’ proprio alla fine degli anni novanta che fonda International Deejay Gigolo con l’intento di dare un nuovo indirizzo alla dance elettronica, esulandola da stolte etichettature stilistiche e dando spazio a talentuosi artisti adottati dall’underground più pregno di creatività e voglia di nuovo. Il 2003 è uno degli anni più importanti della sua carriera: Gigolo vola in alto e il suo “NY Muscle”, terzo full, fa da contenitore ad una sequela di ospitate da brivido (Erlend Øye, Billie Ray Martin ma soprattutto Alan Vega dei Suicide). Hell si esibisce ovunque e non c’è club nel mondo che non ceda alle lusinghe del suo sound. Divenuto, con pieno merito, una delle icone della techno della Germania e sempre all’altezza della sua stessa leggenda, incide il quarto lp, intitolato “Teufelswerk” e frutto della sinergia tra diversi amici, come Peter Kruder, Christian Prommer e Roberto Di Gioia. Hell si lascia ispirare dal sorriso beffardo di Satana, da quelle stesse inquietanti atmosfere che promuoveva in passato in brani come “Risveglio Di Una Città “, “Music For Films” o “Totmacher”. Sembra ancora di vederlo, mentre inizia il suo set per la Love Parade nelle immediate vicinanze della Siegessäule, in mezzo al Grosser Stern, a due passi dal Teufelsberg (riecco Belzebù) dove un tempo sorgeva la stazione radar. “Teufelswerk” (letteralmente ‘lavoro del diavolo’) mastica tante di quelle emozioni che anche dopo un attento ascolto non esaurisce i suoi elementi di richiamo. Diviso in due parti (il Night e il Day), appare subito come la minuziosa riflessione di quel che la techno è stata e che sarà : Hell non si risparmia ed inizia diretto, senza preamboli, con “U Can Dance”, una magia pop ed indie interpretata da Bryan Ferry (proprio quello dei Roxy Music). Poi a succedersi con una velocità da cavallino rampante sono brani come “Electronic Germany”, “Bodyfarm2”, “Wonderland” e “The Disaster”, in cui armeggia con Anthony Rother sintetizzando l’electro dei Kraftwerk e il moderno suono teutonico più minimale. Tra squarci rave e tendenze sintetiche, trova locazione “Hellracer”, ideata con Mijk Van Dijk in mezzo a grovigli acid ed aperture neotrance. Hypno techno scoppiettante invece quella di “Friday, Saturday, Sunday”, composta con Terrace aka Stefan Robbers (la metà dei mitici Acid Junkies) e un’apertura verso scenari internazionali si ha con “The Dj”, con cui torna a collaborare con la star dell’hip-hop P. Diddy. Nel Day la linea di demarcazione tra gli stili è davvero sottilissima: si passa così dall’electronica cinematica di “Germania” alla ballad romantica “The Angst”, dalle aurore ibizenche di “Carte Blanche” al lirismo di “Nightclubbing” in cui si riscopre un sample dei Milch, che proprio Geier volle su Gigolo nel 2000. “Teufelswerk” è l’album in cui vengono canalizzate sensazioni di ogni tipo, è il lavoro che pesca nella maturità artistica e non nelle digitalizzazioni troppo fresche di software. Un disco che contribuisce nell’alimentare quella leggenda che si chiama Dj Hell.
-Sébastien Tellier “Kilometer” (Record Makers): estratto ancora da “Sexuality”, serbatoio di quella corposa serie di intuizioni di cui parlammo tempo addietro (leggi Electronic Diary #181), “Kilometer” è il nuovo singolo di Sébastien Tellier, scritto ed arrangiato con Guy-Manuel De Homem Christo dei Daft Punk. L’Original è pop, dalle venature electro-disco-funk, irradiato da un cantato sensuale. Ed è proprio la sensualità l’elemento che ricorre con maggior frequenza nelle composizioni di Tellier, da anni vicine al mondo della cinematografia e dei polistrumentisti. Il mix nasce però dall’esigenza di rileggere il brano in diverse chiavi: ed ecco la versione di A-Track, l’ex campione DMC, che enfatizza il funk nel bassline incorporandolo in più marcati e sonori movimenti ritmici. Quella degli Aeroplane invece, come suggerisce il sottotitolo Italo 84, ripesca a piene mani dal campionario italodisco dei primi anni ottanta, sostituendo in taluni punti il vocoder alla voce e facendo leva su quel romanticismo che i producers italiani di quasi trent’anni fa importarono dalla new-wave inglese personalizzandolo. Più indicata agli amanti dell’electro dai risvolti scientifici è indubbiamente la rivisitazione di Gerald Donald alias Arpanet, in linea con lo stile delle sue innumerevoli impersonificazioni (Dopplereffekt, Japanese Telecom, Der Zyklus, Heinrich Mueller, Intellitronic): suoni gelidi e futuristici fanno da scenario ad un mondo irreale, frequentato da androidi e cervelli bionici. Il tutto trova locazione su un vinile rosso, pubblicato dalla label degli Air ed ornato dalla grafica di Carine Brancowitz.
-Moa “Imitation Goldmotion” (Carizma): se sino a questo momento Tomoatsu ‘Moa’ Watanabe aveva svolto esclusivamente il lavoro di A&R per la sua Carizma, fondata a Tokyo nel 2004 con l’intento di promuovere la techno-disco-funk (sulle orme della quasi dimenticata Frogman), adesso si cimenta come producer. Il suo progetto d’esordio risponde al nome di “Imitation Goldmotion” ed è aperto dall’omonima traccia che percorre itinerari technoidi sui classici filtri che nipponici come Kagami e Tasaka hanno sfruttato spesso nelle loro creazioni. Ritmi più old-school in “Firecrest Request”, simile per lo strascico techno dei synths ma più intenso nella stesura che cresce in progressione sfociando in un break da capogiro individuato dopo il quarto minuto. Infine “Malicia Mpedia”, una sorta di techno funky house in cui svolazza un sample vocale dalle tipiche venature 70s. Bravo Moa, buona la prima.
-Ritmolider “The Moon String Ensemble” (Mellophonia): quando l’ho ascoltato per la la prima volta lo stavo scambiando per il nuovo di Maximilian Skiba o di Nicolas Courtin. Poi una veloce indagine mi ha portato nuovamente a Ritmolider, artista apparentemente proveniente dalla Federazione Russa e di cui si sa ancora troppo poco. Certa è la sua netta propensione allo stile electro-disco-funk, ben legato alla cultura degli anni settanta ed ottanta. “The Moon String Ensemble” viene riletta in tre versioni: se la prima ci offre un suono simile a quello di Clone e 4 Lux, esplicato bene da artisti come Elitechnique, Putsch ’79, Amplified Orchestra e Delgui, la seconda si tuffa nel cosmic sound orchestrato su synth lines ancestrali, epiche ed anche un pò fiabesche. La terza invece è perfettamente nu-funk, non dissimile dai risultati raggiunti in tempi recenti da Prins Thomas. Il Mellophonia #02 però ci porge anche “Images From The Lander”, un vero ritorno ai 70s più avveniristici, ai tempi in cui storie di fantascienza animate da ipotetici sbarchi alieni sulla Terra attiravano i giovanissimi e bastavano per farli sognare e divertire.
-Espion & Point B “Petrol Bomb” (Bass4Bots): la giovanissima label berlinese ritorna, a pochi mesi dall’esordio registrato con “Automated Syndrome 1”. La volontà di rimanere relegata al segmento electro è evidente e i due artisti, protagonisti di questo #02 fresco di stampa, lo testimoniano ampiamente. Espion, con “Petrol Bomb The Fuckers” e “MKYF”, batte itinerari dai flussi electroidi ma costellati di referenze IDM e trance. Quando Point B mette le mani su “Petrol Bomb The Fuckers” invece tutto si ricondensa sulle classiche sincopi dell’electro, cornici di arpeggi sintetici frequentemente lanciati nel distorsore. Ancor più curioso è “Halo Marker”, in cui la scelta dei suoni va incontro al booty sebbene la natura dei grooves ruoti ancora intorno all’electro minimalistica.
-Kleinschmager Audio “Audiology” (Rrygular): insieme sin dalla fine dello scorso decennio, Jörn Kleinschmager e Niklas ‘Dapayk’ Worgt trovano finalmente la forza di riunire le loro visioni futuristiche sulla techno. Se un tempo i dj’s definivano semplicemente tools questo genere di composizioni, slegate completamente da ogni tipo di stesura riconducibile alla canzone, oggi le cercano perchè sonoricamente attuali ed adatte alle platee delle nuove generazioni che, con i rumori al posto degli strumenti classici, vanno più che d’accordo. Ecco cosa si cela dentro “Audiology”: tutto quell’immaginario technoide che a primo ascolto sembra quasi il risultato di una live session registrata per caso. Beats dalla costruzione classica fanno da culla a tutta una serie di incastri tra percussioni e samples. Risultato? Spassionata microtechno, a volte slanciata verso il dub (“Tuba Auditiva”, “Emphasis”, “Pharafizer”) e in altre decontestualizzata in cascate cristalline di blips, casse a punta e riverberi (“Helicotrema”, “1999”, “Eclipse”). Alla luce di tutto ciò è possibile dire che “Audiology” riassume, consapevolmente, quello che è accaduto alla techno nell’ultima decade.
-Nicole Moudaber “Bad Boy/Born In Ibadan” (Yellow Tail): conosciuta per apparizioni su labels blasonate quali Azuli, Plastic City e Nocturnal Groove, Nicole Moudaber attracca sulla ‘sorella minimale’ di Blu Fin. Dovete essere fanatici della moderna tech-house per apprezzare questa doppia a-side, fatta da due brani tutti incentrati sul ritmo, sulle sincopi, sui controtempi, su svuoti e ripartenze. Certo, l’assenza di una parte melodica si sente ma la buona costruzione dei grooves la compensa ampiamente.
-Datensi “Oomph” (Elektrotribe): a poco più di un anno dall’esordio, Datensi ritorna su Elektrotribe. Il giovane producer greco, ex componente di una band hip-hop, ha trovato nella branca minimale della techno la sua maggiore vena ispirativa e ciò gli consente di plasmare un brano come “Oomph”, in cui i ritmi scorrono su suoni polverosi, pizzicati in un’ideale tavolozza plastica e derivati dalla passione per una forma danzereccia di IDM e glitch experimental. Più orientato al dancefloor, con la cassa in 4/4 ben scandita ed influssi vagamente neo-trance, è il remix di Moog Conspiracy, presenza fissa di Elektrotribe giunta (già ) alla sua uscita #030.
Electric greetz