Poker Flat sta alla microhouse come Jeff Mills sta alla techno o i Kraftwerk all’electro. Nata ad Amburgo nel 1998 sulle ceneri della più datata Raw Elements (tra le prime labels tedesche a proporre minimal-house), la label di Steve Bug si è imposta a suon di hits underground che, col tempo, hanno catalizzato l’attenzione di un pubblico sempre più numeroso. Oggi Poker Flat festeggia il suo decennale celebrando esattamente quel suono che è stato seguito sin dalla prima apparizione, quando i tempi e le mode non gli permisero di raccogliere i frutti. Oggi microhouse non è più un’utopia bensì un genere a sè stante che ha fatto migliaia di proseliti in tutta Europa e non solo, dimostrando che le intuizioni di Brügesch non erano affatto sbagliate. Il decimo compleanno della sua label viene marchiato da “All In! -10 Years Of Poker Flat”, un triplo cd (ma anche doppio vinile) che si presenta in un box unico, illustrato da Nils Zimmermann e Christoph Babbel. Il primo disco è quello delle esclusive inedite, tutte firmate dagli eroi che hanno contribuito più attivamente nel consacrare Poker Flat come una delle top labels in Europa. Trattasi di Märtini Brös, Patrick Chardronnet, John Tejada & Arian Leviste, Burnski, Sycophant Slags e la coppia formata da Florian Schirmacher e Guido Schneider, che tornano a lavorare insieme dopo l’esperienza vissuta anni fa come Glowing Glisses. Il secondo invece racchiude il meglio del presente: da Ryo Murakami a Dj T, da Vincenzo a Raudive passando per Donnacha Costello e i D.H.S. remixati da Phonique. Il package non manca del tratto storico: ultimo cd infatti è quello dei classici, selezionati dallo stesso Steve Bug con l’intento di rimettere a fuoco i ricordi e far capire ai più giovani quanto sia importante essere coerenti con le proprie scelte. Ed ecco scorrere in sequenza Håkan Lidbo, Jackmate, ADJD, Martin Landsky, Martin Buttrich, Detroit Grand Pubahs, Trentemøller ed altri ancora. “All In!” è pertanto la maniera per poter scrutare il passato, presente e futuro di una label che sta lasciando il segno nel mercato discografico.
-Nacho Patrol “The Maze Of Violence -Il Labirinto Di Roma Violenta” (MinimalRome): chi conosce Danny Wolfers è già abituato alle sue numerose quanto bizzarre impersonificazioni, ispirate da personaggi mitologici, di fantasia o storici. Ora tocca a Nacho Patrol, ideale riscopritore di colonne sonore di film poliziotteschi anni settanta, politicamente violenti e per questo censurati. Ma l’ego sopraffino del musicista-stakhanovista di Den Haag non merita censura e i ragazzi di MinimalRome annuiscono mandando in stampa un 12″ già divenuto prezioso. Il contributo audio del progetto indaga nel mondo del cinema dimenticato mediante quei suoni che colorirono le prime apparizioni di Legowelt registrate su labels misconosciute come Goldcoast, Eat This e Kapellmeister Grammofon. E’ il caso di “Color Sound”, con cui l’olandese si tuffa nell’obscure-disco-funk tinteggiata di nero. Più virtuose, nella stesura melodica, “Chase On The Highway” e “Corruptness Of Society”, perfette per siglare l’inseguimento di una banda di gangster tra le vie della Roma più scura e meno rassicurante da visitare, soprattutto nelle ore notturne. “Sword Of The Lambda” invece è l’ambient legoweltiano per eccellenza, un intro in cui convergono le linee sibilanti di arpeggi ombrosi e ventilati da una brezza tenebrosa. Con “Puzzles Of The Golem” poi si torna a ballare, grazie a ritmi vagamente ispirati dall’afro bilanciati da ideazioni sonore non così distanti dalle soundtracks dell’argentino Lalo Schifrin. Segnalo anche la traccia “Panter 777” incisa esclusivamente su cassetta, la cui disponibilità si ferma alle 30 copie. Un must insomma, sia per Wolfers che rende ordinario lo straordinario, sia per MinimalRome, tra le più inconsuete ed improbabili realtà che si ergono dall’ormai sterile scena discografica italiana.
-Jackpot “Ragazza” (Permanent Vacation/Service): la sinergia tra la svedese Service e la tedesca Permanent Vacation conferma la buona resa, a pochi mesi dalla pubblicazione di “Lurking” dei The Embassy. Il protagonista ora è Jackpot che si propone con “Ragazza”, un accattivante brano in stile Sneak-Thief, che ondeggia tra electro e nu-disco, con un sample vocale in un italiano accennato. Innegabili gli spunti retro, ben connessi ad una carica ritmica personalizzata e funzionale per la pista. Il lato b viene riempito con una nuova versione di “Uno Dos Tres”, brano apparso pochi mesi fa su Service: a realizzarla sono i Runaway, autori di una rivisitazione tendente alla deep-house, immersa tra atmosfere soffuse ed un pò nebbiose, utile per chi preferisce modulare la modaiola tech-house.
-Kolombo “Tweedle Dee” (Blu Fin): inarrestabile ed infallibile, Olivier Grégoire alias Kolombo continua a confermare una prolificità assoluta trovando ancora in Blu Fin un valido supporto. Per la sua “Tweedle Dee” fa uso di una cassa piena in stile techno anni novanta, accostata ad una gamma di suoni di ispirazione ambient, che spesso sentiamo nelle composizioni di Danny Wolfers. La struttura del ritmo invece è classica, e scorre col classico riempimento ad incastro, con tanto di ride in levare, così come la techno voleva sino a qualche anno fa. Il remix di Daniele Papini (l’italiano che ha trovato la giusta strada dopo essersi trasferito a Berlino) attorciglia la cassa come se fosse fil di lana e ricama intorno buone frequenze da tachicardia, lasciando il riff melodico seminascosto dai filtri. Chiude “Yeah”, dal passo ritmico marcato e contestualizzata sull’evoluzione dell’electro-house per cui Blu Fin si fece promotrice nel 2005. In questo caso è evidente la depurazione dei tratti melodici in eccesso a favore di una minimalizzazione della tavolozza armonica, ridotta a suoni pseudo arcade.
-Gui Boratto “Take My Breath Away” (Kompakt): anticipatore in tempi non sospetti (2003) della corrente recentemente ribattezzata come neo trance, l’architetto-musicista di San Paolo fornisce un degno seguito al “Chromophobia” di due anni fa. Mantenendo coerentemente la traiettoria della techno-house moderna, il brasiliano la orna di continuo con approcci melodici, tristi e felici, solari e sognanti, che danno tonalità più accese a quelli che sono i classici suoni dub oscuri della scuola di Colonia. I ritmi ciclici ricorrono (quasi) in tutte le undici tracce a disposizione, ma ad ergersi con evidenza è indubbiamente l’influsso armonico di brani come “Atomic Soda” (già in circolazione come singolo), “Take My Breath Away”, “Opus 17” e “No Turning Back”. Più slowbeat è “Colors”, attraverso cui si intravede un vero arcobaleno di archi, mentre “Azzurra” e “Les Enfants” sembrano imparentate col suono vintage del SID. Poi, transitando per “Besides”, in cui pare di ascoltare il macchinoso incastro IDM su romanticherie alla Art Of Trance, si raggiungono ancora le sponde del suono kompaktiano (“Ballroom”, “Eggplant”). Tira il sipario un’escursione acustica, “Godet”. Un album primaverile, ideale colonna sonora per descrivere il risveglio colorato della natura dopo un lungo e freddo inverno.
-Richard Bartz “Subway III” (Kanzleramt): ricordato dai più attenti come il mattatore, insieme a Dj Hell e Peter Wacha, della cosiddetta ‘munich-techno’, Richard Bartz rilascia il terzo capitolo della saga Subway, iniziata nel 1998. Il disco si inserisce perfettamente nel filone per cui la label di Heiko Laux è stata famosa in passato, ossia in quella singolare fusione tra house e techno, un bilico che ha messo seriamente in crisi chi voleva assolutamente continuare a parlare di esse come due entità completamente slegate ed indipendenti l’una dall’altra. “The Machinist”, che apre le danze, è l’ennesima conferma, con le sue vaporose ondulazioni deep techno irradiate da un groove che ‘pompa’ davvero bene. Lì, ancora a metà strada tra house e techno, ci sono “Rise” e “Way Out”, eleganti e raffinate come poche cose al momento, mentre “Work It Out” è l’unica che risente maggiormente della new-school made in Germany, votata al post-minimal. Un 12″ da supportare.
-Fausto Messina & Vicente “Tomatina EP” (Big City Beats Tec): release che batte il tricolore italiano per la Big City Beats di Francoforte sul Meno. Messina, già apprezzato per “Compulsive Disorder” adorato da Sven Väth e per “Sib*ney” supportato da Luciano, Loco Dice, Argy e Gregor Tresher, ridà linfa vitale ad una tech-house che, negli ultimi tempi, stava progressivamente arenandosi nel dimenticatoio. Lo stile di questo EP infatti è esplicitamente influenzato dal tribale e dalle percussioni, che in “Chicago” fanno ottima figura in un pressante groove intrecciato a vocals pseudo rap. Buon tiro anche per “Tomatina”, dal leggero retrogusto che tende alla ‘nostra’ underground anni novanta. Più in linea con le produzioni tedesche del momento invece “Luna Llenas”, che trova appoggio su strutture deep-techno-house che oggi vanno per la maggiore.
Electric greetz