Focalizzato intorno alla figura di Manuel Noriega, ex militare e politico panamense, il nuovo album che Danny Wolfers incide attraverso il suo alter ego più noto, Legowelt, è un tributo a tutto ciò che gravita intorno alla musica electronica, spinta ai confini delle colonne sonore da film, trama che ormai contraddistingue la filosofia di Strange Life sin dalla sua prima apparizione (2004). Le quattordici tracce di “The Rise And Fall Of Manuel Noriega”, un vero elaborato-manifesto, si ricollegano a certi esperimenti che il musicista di Den Haag ha realizzato nel corso della sua carriera (“Klaus Kinski EP”, “Tower Of The Gipsies”, “Beyond The Congo”, “Under The Panda Moon”), sempre altamente visionari ed ispirati da misteri, da film, da libri, da storie di cospirazioni, da tematiche belliche, da figure tramandate dalla mitologia e dalle credenze popolari, da eroi ed antieroi. Facendo unicamente leva su strumenti come Yamaha QY70, Korg Vocoder ed MS20 , Wolfers ‘omaggia’ l’ex generale di Panama con una pura dark-horror-electro, tanto vicina al Claudio Simonetti nei Goblin con quei virtuosismi orchestrali che solo chi è un vero estimatore di musica elettronica riuscirà a decodificare senza lamentare l’assenza di ritmo e cassa. Il Legowelt di “The Rise And Fall Of Manuel Noriega” avanza in percorsi fatti di gelide atmosfere e raccapriccianti evoluzioni sintetiche, frequentemente dominate dall’arpeggiatore. “The Return Of Squadron X9”, naturale seguito a “The Secret Initiation Of Squadron X9” contenuta nel citato “Beyond The Congo” del 2005, incarna al meglio tale fenomenologia stilistica mentre altre eccellenti visioni, come “Sepecat”, fanno di questo intenso ed ispirato lavoro l’ideale colonna sonora di un film di fantascienza che termina con la cruda immagine degli uomini ridotti in schiavitù dalle macchine da essi stessi costruite.
-Dave Aju “Open Wide” (Circus Company): ancora musica stilosa proveniente dalla francese Circus Company, etichetta che in un passato non tanto remoto seppe emozionarmi con l’album dei Nôze. “Open Wide” scavalca agevolmente le frontiere del ‘già sentito’ effettuando le stesse ricognizioni di un lavoro hip-hop mediante il cosiddetto beatbox vocale. Marc Barrite riesce così nel difficile compito di integrare stili apparentemente discordanti tra di loro, dal freejazz al p-funk, dall’hip-hop al pop sino alla techno e alla house. Se “Bump” o “Tapatio” vanno troppo oltre la classica misura della dance, provate il remix di “Crazy Place” realizzato da Luciano e scoprirete, intorno ad aloni latin, bossa e dub, anche una discreta sequenza minimale. Sperimentalista mi sembra l’aggettivo migliore per descriverlo.
-Hell + Rother “Bodyfarm” (Datapunk): a due anni da “German Bodymachine”, la sinergia tra due noti personaggi tedeschi prende nuovamente corpo mediante un brano che, nella sua versione originale, porge un ritmo saltellante, fatto di sincopi poggiate su ritmi dritti e frequenti incastri di hihats. Trovo più sognante (e rincuorante) la Telekraft Dub Mix, dalla matrice più deep, con intrusioni romantiche in un suono plastico che Geier e Rother hanno ereditato dai Kraftwerk, sebbene in questo caso la componente electro non si faccia sentire con distinta intensità .
-Willie Graff & Tuccillo “When The Sun Goes Down” (Drumpoet Community): se nel 2007 si era lasciato affiancare da Pippi per “Hyper Space”, adesso preferisce Giuseppe Tuccillo per tornare sulla label svizzera di Alex Dallas e Ron Shiller. Willie Graff, dopo aver trascorso l’intera estate ad Ibiza, desidera ricreare il magico effetto dell’ ‘isla bianca’: l’obiettivo è centrato in pieno grazie a “When The Sun Goes Down”, spassionata deep-house finemente realizzata su ritmi dosati con cura e pads che si rincorrono come gabbiani sul mare. “Bang” invece porge un groove più sussultorio, pur mantenendo inalterato lo stato timbrico, solare e radioso. Peccato che sia già autunno.
-Like A Tim “Like 12” (Like Records): quando l’acid diventa un’arte, questa prende un nome: Tim Van Leijden. Nome imperturbabile della scena dei Paesi Bassi sin dal 1991 (svariati i dischi incisi in quegli anni sulla gloriosa Djax-Up-Beats della bella Miss Djax), quello di Like A Tim è divenuto il sinonimo di Tb-303. Lo strumento vintage, per anni dimenticato e poco preso in considerazione dai più, trova in lui la massima forma di espressività . Con il dodicesimo capitolo di Like (l’unico apparso nel 2008) il producer mette (ancora) a dura prova la ‘scatola argentata’ incidendo quattro selvagge tracce in cui prima ricrea l’energia devastante di un mare in tempesta (“Freeloaders”) e si immerge nell’old-school rammentando quel che amavano fare i tedeschi nei primi anni novanta (“Platinum”) e poi si sposta su mappe più concettuali (“Rttrdm”) e virtuose costellazioni soniche (“Applied Magic For The Arts”) in cui le linee acide del Tb avanzano nei pertugi ritmici assomigliando ad una lucertola che cerca riparo in muri scrostati. A completamento di tutto l’artwork realizzato dallo stesso Van Leijden.
-Timo Maas “Subtellite” (Cocoon Recordings): Timo Maas è stato uno dei precursori della tech-house a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio. Nonostante numerose hits ed un successo sfolgorante, la sua presenza all’interno della scena discografica si è andata progressivamente affievolendo. A ben tre anni da “Pictures”, un album che sembrò pensato appositamente al crossover vista la presenza di voci note quali Brian Molko (Placebo), Neneh Cherry e Kelis, il tedesco riappare sulla Cocoon dell’amico Sven Väth. La creatività dell’atteso ritorno però pare al bando visto che a rincorrersi nella single-side sono i classici ritmi che possiamo ascoltare in migliaia di produzioni (tedesche) ed un assolo di chitarra che, a livello ideale, rammenta quel che hanno già fatto Samim o Italoboyz. Certo, gli oltre dodici minuti di marcia rendono bene, soprattutto nei megaclubs, ma da uno come Timo Maas che seppe, prima di altri, frantumare i vecchi stereotipi house e techno, aspettavamo qualcosa in più.
-Rodion “Athena Acid” (Gomma): tra gli alfieri della Roma post-techno, post-rave e future-italo, Rodion occupa un posto di rilevante importanza, non solo perchè appartenente ad una delle labels europee più ricercate e meno modaiole (la Gomma dei Munk) ma soprattutto perchè estroso e capace di combinare l’incombinabile. Come in questo imminente 12″, nuovo in tutti i sensi giacchè composto da tre tracce inedite e non estratte da “Romantic Jet Dance” del 2007. “Hello Yellow”, che apre le danze, mischia con tenacia esperienze moroderiane e referenze synth-disco a sottili filigrante funk, mentre la title-track, “Athena Acid”, riesce a sposare acid, new-wave ed un funk inaspettatamente arpeggiato. Se non siete ancora stanchi di battere il piede a ritmo, vi resta ancora l’ironica “Scuola Radio Elettra”, immersa in mondi electro-retro con tipico basso italo in ottava ed assolo di vocoder-vox. Passato, presente e futuro vengono centrifugati, con impeto, nella musica di Rodion.
-Speedy J “Red Shift EP” (Electric Deluxe): Jochem George Paap è uno dei pionieri europei della techno. Con brani (“Pullover”, “Something For Your Mind”, “Bugmod”, “Krekc”) ed albums (“Ginger”, “G Spot”, “A Shocking Hobby”) divenuti pietre miliari ha scritto pagine importanti che i giovanissimi dovrebbero ‘sfogliare’ per capire realmente da dove e come nasce la techno del nuovo millennio. Il suo nuovo EP, che taglia il nastro inaugurale della Electric Deluxe (pseudonimo peraltro usato dallo stesso autore, seppur in modo assai limitato, tra 2000 e 2001) rilegge la techno due volte: “Red Shift” e “Bootes” devono essere ascoltate una dopo l’altra per capire che a tenerle insieme è il comune denominatore del marcato ipnotismo, una qualità che non è mai mancata nelle pubblicazioni dell’olandese. Entrambe inoltre manifestano palesemente l’aderenza ad una techno visionaria, ciclica, legata (ancora) al loop e sganciata da ogni parametro che potrebbe farla assomigliare ad una ‘canzone’. La musica di Speedy J, per i meno attenti, potrebbe sembrare rumore. Rumore anticonvenzionale però, visto che dentro c’è tutto lo sviluppo ritmico a cui la techno poggia la sua identità sin dalla nascita. Particolarità essenziale è che i brani in questione verranno commercializzati anche sotto forma di Parts ossia a mò di libreria musicale. Con lo stesso intento verrà rilasciato anche un nuovo lp: Paap lascia ai dj’s più creativi e desiderosi di ‘intingere i propri pennelli nei suoi colori’ la facoltà di improvvisare o ricreare partendo da suoni e metriche lasciate appositamente incomplete. Il tutto ricalca, in linea sommaria, quel che già avvenne nel 2002 attraverso “Loudboxer”, pieno zeppo di locked-grooves per i virtuosi dei tre piatti.
-Sneak-Thief “Videosex” (M-Division Recordings): il ‘ladro di merendine’ ritorna a far parlare (positivamente) di sè grazie al nuovo 12″ pubblicato dall’australiana M-Division. La title-track, “Videosex”, incarna esattamente il tipo di sonorità a cui il bravo producer canadese (ma berlinese d’adozione) ha legato la sua immagine sin dagli esordi: si tratta di una aggressive-disco, a tratti quasi ebm, graffiante come certe cose di The Hacker o David Carretta e mai in balia di soluzioni narcolettiche. Un vero tributo alla chicago-house e a tutta la house ‘prima maniera’ è invece “The Apostate”, che pare trarre linfa vitale dagli indimenticati lavori dei Liaisons Dangereuses. Il lato b è di “Mano Kimono”, prima con un’Original Mix in pieno japanese style, col koto in primo piano incastrato in strutture pseudo rock, e poi col remix di Inverto (da Melbourne) che trasla tutto su itinerari nu-funk, apprezzabili da chi segue da vicino labels come Bear Funk, DC Recordings o Full Pupp.
-Robert Owens “Happy/Never Give Up” -remixes- (Compost): la leggenda della house a stelle e strisce continua. Estratte dal recente “Night-Time Stories” che lo ha riportato sotto la luce dei riflettori internazionali, “Happy” e “Never Give Up” risplendono ora di una nuova luce. La prima, grazie alla sperimentata coppia James Priestley e Dan Berkson, viene immersa in una deep-funky-house, leggiadra nei movimenti e ben congegnata nella stesura mentre la seconda, grazie al tocco dei Shahrokh SoundofK, assomiglia in modo clamoroso alla house che noi italiani chiamavamo ‘underground’ nei primi anni novanta. Sul vinile figurano anche le Original Mix di entrambe (prodotte da Wahoo e da Charles Webster), che torneranno utili agli sbadati che si sono lasciati sfuggire uno dei dischi del 2008.
-Sascha Funke “Watergate 02” (Watergate Records): il locale che si affaccia sulla Sprea è divenuto, soprattutto negli ultimi anni, un vero crocevia di talenti internazionali. Immortalando una serata-tipo, Sascha Funke ne ricrea l’atmosfera plasmando un secondo volume che prosegue il discorso lasciato in sospeso, solo pochi mesi fa, da Onur Özer. Il suo mix-set, registrato in presa diretta durante una calda nottata di agosto, scricchiola un pò, in particolare nell’avvio, in cui si riscoprono baleni di snodature un tempo considerate sperimentali ma oggi proposte dalla moltitudine dei dj’s europei. Ed ecco scorrere in sequenza Nathan Fake, Ellen Allien (remixata da una Miss Kittin quasi irriconoscibile), Maus & Stolle, Zander VT, Minilogue, Dave Aju, The Mole, Dj Koze e lo stesso Funke con il remix di “Mango” firmato da Superpitcher e Tobias Thomas. Su tutte, però, si eleva “Housefrau” di Milch, riletta dagli Acid Jesus (ossia Roman Flügel e Jörn Elling Wuttke, meglio noti dalla massa come Alter Ego) e direttamente prelevata dal cassetto della memoria targato 1994.
Electric greetz