Se qualcuno aveva pensato che il divorzio da International Deejay Gigolo avrebbe causato una parabola inversamente proporzionale al successo raccolto nel 2003 sarà costretto a ricredersi. Il producer e performer Adriano Canzian, scoperto e lanciato per l’appunto dalla label di Dj Hell, dimostra di avere ancora tante frecce nel suo arco. E’ “Metamorphosis”, che arriva a quasi quattro anni da “Pornography”, a suonare come conferma. Pubblicato dalla Space Factory di David Carretta e Gigi Succès, piccola label francese che ha fatto di lui quasi un baluardo da usare contro i troppi tools tedeschi, l’album gronda sudore e voglia di far rumore e baldoria. Con la sua tipica teatralità abbinata al sadismo disarmante che lo contraddistingue dall’esordio, il veneto forgia quindici tracce infuocate in cui coinvolge anche vari guests d’eccezione (dalle scabrose Dirty Princess agli energici Atomizer, dal combattivo Terence Fixmer alla più passionale Anna Patrini del duo polacco Skinny Patrini passando per i ‘padroni di casa’, Carretta e Succès). “Metamorphosis” è selvaggiamente incastrato nel mondo a luci rosse, nel sesso inteso come linfa vitale ed espressione del corpo e dello spirito (“The Black Muscle” è quasi uno status per tale affermazione). Ed ecco scandire meccanicamente una sorta di neo-ebm grazie a “Turkish Testosterone” alternata a graffiate dark alla Cabaret Voltaire (“Black Widow”, “Cardiac Science”, “The Collapse”) e al post-punk (“Lipstick Live”). Tra le più indovinate sicuramente “Defribillator”, intrecciata alla voce di Fixmer, potente almeno quanto una macchina bellica e tutto imperniato su un movimento aritmico, industriale ed ossessivo. Per il resto Canzian disegna una sorta di nu-hardcore con “Kiss Me Killer!” e con la più lisergica “Metamorphosis”, transitando su laceranti tessiture ebm. Un full-lenght gotico e scuro, che riverbera ciò che accadde in “Pornography” scagliando l’impetuoso risultato contro chi è convinto che la fine del decennio possa riservarci soltanto musica minimale.
-SkatebÃ¥rd “Kosmos” (Digitalo Enterprises): BÃ¥rd Aasen Lødemel è uno degli astri nascenti (seppur attivo dal 2002) della scena nordica. Ancora sconosciuto dalla massa, il producer confeziona il #003 della sua Digitalo Enterprises pensando più al mainstream e, perciò, prendendo qualche distanza dalle passate esperienze vissute su labels di settore come Keys Of Life, Radius, Sex Tags Mania, Supersoul Recordings e la mitica Tellektro. Certo, nella Original Version di “Kosmos” assistiamo, come tradizione vuole per questo autore, alla compenetrazione tra la vecchia italodisco, un pò scurita nei toni, e l’electro post-kraftwerkiana a tratti dream. I The Work della Powerblytt Records, che così ripagano il remix che Lødemel realizzò nel 2006 per la loro “Just Talk”, calcano più la mano sul beat ma in compenso tendono a romanticizzare il resto. Ben diverso il lato b: la versione dell’emergente Njaal, pur colorita da spruzzi trance, rimane una dance spigolosa e fatta di suoni arpeggiati che sembrano dettati dall’influenza svedese (Prydz, Angello, Ingrosso) mentre quella di Krazy Fiesta arpiona l’electro-house, un pelo tamarra nella costruzione tra cassa e bassline ma potenzialmente utile nell’aprire nuove porte per la musica del ‘poeta norvegese’ (forse per caso, ‘bard’, dal celtico, significa esattamente ‘poeta’).
-Polygamy Boys “Black Flower” (Crème Eclipse): lasciandosi alle spalle esperienze su etichette blasonate nel settore underground quali Bunker, Space Factory, GoodLife e Moustache, i Polygamy Boys (Michel Morin alias Sneak-Thief e Stephan Busche alias Dj Gitano dei Fancyman) riappaiono sull’olandese Crème Organization (che li convoglia sui binari Eclipse) con un progetto che macina ottimamente disco, techno ed ebm. Formula sistematicamente adoperata dal duo tedesco-canadese sin dal primo EP del 2003, quella della techno-disco è ormai la loro principale prerogativa con cui si scagliano contro l’ormai poco eccitante scena della Germania. La title track, “Black Flower”, è tinteggiata di scuro e preserva quel che rimane in vita dell’ebm di Front 242, D.A.F. o The Neon Judgement. Più sinuoso il corpo sonoro di “Ghostz”, ritmicamente segnato da un vocoder molto electrofunk (Egyptian Lover, Afrika Bambaataa, Arabian Prince). Poi, su “Desolate Destination”, interviene in modo deciso la mano di Morin, con la sua obscure-disco gonfia nei bassi e nei pads neri come pece. A chiudere è “Rendezvous Dans Le Cerceuil”, uno spicchio di spassionata dark-electro-techno, sulla falsariga di ciò che usciva spesso in Francia qualche anno fa (Chaotik Ramses, Gallen, Endrik Schroeder, Dj Tuttle) con la cassa che martella i 4/4 insieme a meteore armoniche che evocano gli anni ottanta. La stampa è limitata ai 500 esemplari.
-Digital Genetic Pasta And Tranz Lasagne “Villain Smile” (Biokip/Irma): “Villain Smile” è il risultato della collaborazione stretta tra la Biokip e la Irma, desiderose di dare spazio alla musica sorta su un’altra sinergia, quella tra Digital Genetic Pasta e Tranz Lasagne. Se il primo tende a rallentare il canonico numero dei bpm per la dance (ed avvicinandosi, conseguentemente, al mondo hip-hop pur non diventandone parte integrante), il secondo rende omaggio alla vecchia scena techno europea, con la quasi obsoleta miscela della techno-trance ammorbidita in più punti dall’intersezione con altri filoni quali drum’n’bass, acid, rave e breakbeat. Ad essere sincero le undici tracce (a cui vanno sommati un intro ed un outro) di “Villain Smile” potrebbero suonare anacronistiche e desuete per molti (soprattutto se si punta all’ascolto di brani come “Timecheck”, “Tranzactor” e “90′ Sburo”) ma a tenere alto l’interesse sono altri sfiziosi esperimenti come “Muffin”, incrocio tra electro e ragga, “Banano”, con venature di rotterdam-techno, e “Sad”, col suono che sembra quello di un vecchio modem a 56k. “Villain Smile” vive nelle astrazioni ma il suo fantasioso senso d’indipendenza dall’attuale scena musicale europea ne fa uno scrigno di puro sperimentalismo, ben slegato da ogni tipo di business ricercato a tutti i costi. Musica geneticamente modificata? Credo proprio di si.
-Impakt “Universal Frequencies” (Breakin’ Records): è Jørgen Indal aka Impakt l’ultimo arrivato in forza alla Breakin’ di DMX Krew che, finalmente, pare aver ritrovato l’energia produttiva di un tempo. Il disco d’esordio del norvegese fruga nel filone electro in cui questa storica etichetta inglese ha fissato la sua identità in modo clamorosamente chiaro. Le variazioni sul tema del suono detroitiano nato con Juan Atkins ma derivato in parte dal bagaglio culturale tedesco lasciato in eredità dai Kraftwerk, costituiscono la base di appoggio del lavoro di Impakt che opera su un range fatto di battiti animaleschi (“Universal Frequencies”) e virtuosismi acidi aggrappati ad un ambient quasi funereo (“Haakon”), di riferimenti d’obbligo al suono acquatico dei Drexciya lievemente spiritato (“Ufo Sightings”) e al classico stilema electro con bassline accartocciato (“Loef”, “Spacefeel”). Breakin’ continua a non tradire la fiducia dei suoi afecionados trasformando questo suo #54 in un gioiello da poter comprare anche a scatola chiusa.
-Shahrokh Sound Of K. “Dripping Point” (Compost): il nome iraniano più famoso nel mondo della dance è Deep Dish ma, tra non molto, si parlerà anche di Shahrokh Sound Of K., punto di sutura e connessione tra Medio Oriente ed America (peccato che la musica non possa risolvere anche i contrasti politici tra i due Paesi). Ideato da Shahrokh Dini (attivo sin dal 1997) affiancato dal tedesco Andreas Köhler, Shahrokh Sound Of K. si impone oggi grazie ad una vena poetica non ubicata solo all’interno dei confini della house. “Dripping Point” infatti è, come loro stessi dicono, un manifesto di persian folk music fatto principalmente di melodie melanconiche innestate su ritmi jazz, funk, garage ed afro. E’ un pò come se il soul statunitense fosse fatto a pezzi per poi essere ricostruito secondo la metolodogia tipica del mondo Compost, tra le più importanti labels europee a seguire quella particolare commistione stilistica in grado di interfacciare i battiti della house con la delicatezza della bossanova e del future-jazz. Svariati i featurings rintracciabili in “Dripping Point”: da Jamie Lloyd a Siri Svegler, da Toyin Taylor a Robert Owens. Tutto ad appannaggio di uno stile che trova la massima espressività in brani come “Time And Again”, “Super Size Cup”, “After All” e “Big Boys” con cui si sfiora addirittura l’electro/hip-hop. Un disco che ha classe da vendere.
-ZZT “The Worm” (Turbo): ad un anno di distanza da “Lower State Of Consciousness” (che in tanti hanno considerato la risposta allo storico “Higher State Of Consciousness” di Josh Wink del 1995), la collaborazione tra Zombie Nation e Tiga si ripete. In “The Worm” si sente distintamente sia la mano del tedesco che calca su frustate sintetiche frequentemente giocate su alterazioni della tonalità , sia quella del canadese che ordina il ritmo facendo leva su elementi classici ma sempre efficaci. Sul vinile presenzia anche un edit di Erol Alkan di cui però non ho potuto cogliere la sua peculiarità .
-Ray Okpara “Loving Moonbuah” (Drumpoet Community): apprezzato qualche anno fa nell’avventura dei RAJO, Ray Okpara identifica nel 2008 l’anno giusto per emergere come solista. Dopo Arearemote, Lomidhigh Lmtd. e Diplomatik è la svizzera Drumpoet Community a stampare la sua musica, un intrigante risultato ottenuto dalla sovrapposizione di più stili. “Loving Moonbuah” è un canto etnico africano, dominato dal vigore delle percussioni che lascerebbe presagire ad un potenziale ritorno della vena tribale applicata alla house. Nel suo remix Nekes, (fondatore della Oslo insieme a Federico Molinari), decide di potenziarne l’aspetto ritmico confinando e circoscrivendo la parte vocale. E’ in “Please” che il tipico stile Drumpoet Community si fa vivo, attraverso una nebbiosa deep-house dalle linee mai marcate ma sempre avvolgenti. Un disco che mi ricorda un brano della mia infanzia, “Congo Bongo” dei The African Juice.
-Scott Grooves “Coco Brown/La Riddem” (Clone): amori paralleli di Clone all’electro dalle venature retro sono sicuramente la detroit-techno e la chicago-house. E’ con questo presupposto che si deve ascoltare il #054, prodotto proprio a Detroit dal grande Patrick Scott, figura chiave del movimento che segnò l’inizio di un nuovo ciclo della musica da ballo agli inizi degli anni novanta anche se la sua hit più nota, “Mothership Reconnection”, è targata 1998. “Coco Brown” è techno rotatoria, addolcita da flauti e da una voce femminile che smorza bene i freddi toni dei loops. “La Riddem” invece si contamina di elementi afro e di tanta house ‘prima maniera’ che farà felici i nostalgici. Un Clone più diverso dal solito ed è forse ciò a renderlo ancor più magico.
-Noblesse Oblige “In Exile” (Repo Records): per i fanatici dell’indie-rock, i Noblesse Oblige rappresentano uno dei modelli da seguire. Nato dalla Londra più underground che non si è mai piegata alle tendenze in corso nel centro Europa, il duo formato da Sebastian Lee Philipp e Valerie Renay passa dalla Horseglue Records (nata da una costola della Mute) alla Repo con un album che coniuga la tipica live-performance di una band alle astrattezze di un sound che vaga alla ricerca di un ideale estetico, ora rappresentato dal pop melanconico (“Das Soldatenglück”, “Forbidden Time”, “All Or Nothing”) poi da cascate di romantic-pop (“Seaside Suicide”) e da ideali colonne sonore da film western riviste in chiave moderna (“Jalouse”). “In Exile” propone anche rimembranze anni novanta, come “Tanz, Mephisto!” (di cui è disponibile anche il relativo videoclip) che pare prendere come esempio la darkwave degli indimenticati Clan Of Xymox, forme moderne di afro (“Hit The Bongo”, titolo che lascia poco all’immaginazione) ed imperturbabili scorribande indie-rock.
Electric greetz