Das Drehmoment è l’etichetta berlinese, per anni legata all’omonimo negozio di dischi, gestita da Daniela Schwarz e Thomas Gleichner. L’influenza primaria è quella dell’electro, biunivocamente connessa alla old e alla new-school, esternata poi in numerose varianti quali new-wave, synth-pop, dark-electronics e la cosiddetta robodisco. Rimastra tra le poche in Europa a perseguire un ideale che si discosti in modo sensibile da tutto ciò che è omologazione, Das Drehmoment è la casa di tutti coloro che non hanno voluto convertirsi al trend tedesco del minimal, il rifugio per chi non sopporta i loops ostentati, l’approdo di chi ama le strumentazioni vintage d’altri tempi. E’ con questo preciso intento che nasce la raccolta “Rückwärts Im Uhrzeigersinn”, fuori dal prossimo 4 luglio su doppio vinile, vero manifesto chiarificatore che indaga a fondo su stili derivati dalla new-wave, dalla primordiale electro, dalla disco e dal synth-pop anni ottanta. Due le sezioni: Materia ed Antimateria. Nella prima ruotano nomi come Kalson, Lesbian Mouseclicks, Trans-Active Nightzone, Replicant, Makina Girgir e Dj Gio MC-505, l’unico italiano entrato sinora a far parte della famiglia Das Drehmoment; nella seconda si prosegue l’itinerario in compagnia di Direct Control, Képeslap, Starcluster, Dream Disco, Datafreq, Polygamy Boys ed altri. Riservata ai pochi eletti che avranno la fortuna di accaparrarsela, “Rückwärts Im Uhrzeigersinn” (tradotto in italiano vorrebbe dire ‘indietro in senso orario’), riesce a far ripercorrere, all’ascoltatore, parte della storia della musica elettronica degli ultimi trent’anni.
-Aa.Vv. “Cocoon Compilation H” (Cocoon Recordings): puntuale come un orologio svizzero (sebbene sia di Francoforte sul Meno), il team di Cocoon appronta il volume H dell’inossidabile saga iniziata nel 2000. La versione in vinile è, come di consueto, racchiusa in un package di sei dischi: a piangere è il portafogli ma le dodici tracce su cui metterete mani (ed orecchie) vi ripagheranno ampiamente. Ad essere selezionati sono gli artisti che al momento Sven Väth reputa ‘speciali’: da Cassy (ricordate quando cantava “Unload” di Zombie Nation?) a Joris Voorn, da Raudive (ovvero la nuova veste sonora di Oliver Ho) a Simon Baker, da Len Faki a Tolga Fidan, da Gui Boratto ad Efdemin sino a Mark August e Matt Star. Di rilievo due coppie di tutto rispetto: Dubfire (dei Deep Dish) ed Oliver Huntemann con “Diablo”, e Sven Väth e Roman Flügel con “Trashbindance”, entrambi esempi dell’incrocio tra post-techno e post-house, i due scenari musicali per cui Cocoon Recordings è diventata una più che accreditata esponente.
-Alex Flatner featuring Lopazz “Perfect Circles” (Circle Music): ottima prova per Alex Flatner, colui che siede al vertice di Circle Music divenuta, in appena quattro anni, una delle piattaforme europee di caratura più consistente. La collaborazione con Stefan ‘Lopazz’ Eichinger (Output, Get Physical Music, Lasergun) dà vita ad un ottimo brano di matrice tech-house, dal tiro coinvolgente e dai suoni avvolgenti. Di gran classe il remix di Damian Schwartz (partner di Alex Under in Música Charlista) mentre più vicino alla house old-school il rework di Frank Heinrich alias Reboot, che attinge parzialmente dalle esperienze su Cadenza, Connaisseur e Moon Harbour Recordings. Perfetto per l’estate.
-Mark-Henning “Jupiter Jive” (Soma): anticipato dalla doppia a-side “All Star Geek/Moody Bastard” (che include i remix di Ed Davenport e Let’s Go Outside), “Jupiter Jive” è l’album di debutto per l’artista inglese già approdato su Einmaleins Musik, Frankie, Trapez e Foundsound. Si tratta di un lavoro con cui il producer d’oltremanica desidera comunicare al suo pubblico quella che oggi è definita la ‘club dance’, un misto inscindibile tra house e techno ravvivato a suoni e glitch adoperati come percussioni e, talvolta, come melodie portanti. Rispetto alla musica di qualche tempo fa potrebbe apparire più fredda ed inanimata poichè priva di quelle strutture a cui, per anni, si è sempre fatto riferimento (armonizzazioni studiate a tavolino, parti vocali commissionate a cantanti d’eccezione). Oggi tutto ciò non serve e Mark-Henning rappresenta perfettamente la teoria con tracce come “I Lost My Brain At Wrinchout”, “BB Roger”, “Frau Daudle”, “Run” e “Stash”. A Glasgow, dove è situata la sede di Soma, dicono che sarà proprio quello di Henning uno dei top-names dei prossimi mesi: non ci resta che attendere per sapere se tale affermazione troverà terreno d’appoggio.
-The Glitz “Tenga” (Voltage Musique): per festeggiare il quinto anno d’attività della Voltage Musique, nata nel 2003 con intenti maggiormente rivolti all’electro-techno e poi progressivamente evolutasi all’interno del segmento tech-minimal-house, i suoi fautori (Andreas Henneberg, Daniel Nitsch e Stefko Kruse) incidono un brano entrato di diritto nei cases di Dubfire, Stephan Bodzin, Oscar, Steve Bug e Ricardo Villalobos. Il sample vocale, che sembra ammiccare alla lingua italiana, è incorniciato da un bel groove con inserti percussivi che, nella parte centrale, fa spazio ad un break di matrice electro. Un degno follow-up di “White Line E.p.” e del più recente “Chatter” apparso sulla Pocketgame di Maru & Comix.
-Trentemøller “Live In Concert E.p.” (Poker Flat Recordings Digital): in soli cinque anni il musicista Anders Trentemøller è stato capace di uscire dall’anonimato e piazzarsi sotto l’accecante luce dei riflettori europei. Complice Steve Bug che, prima con Audiomatique e poi con Poker Flat, lo ha definitivamente lanciato nel jet-set internazionale. Sarebbe puramente riduttivo catalogare il danese come semplice (o banale) ‘electro-house maker’: la grammatura del suono attuale, infatti, raggiunge risultati che superano le distorsioni di “Physical Fraction”, “Polar Shift”, “Serenetti” o “Rykketid”, a cui spetta il merito di averlo fatto conoscere al grande pubblico ma che ora appaiono lontani dai suoi fini. In questo lucente e.p., disponibile solo in formato digitale e nato dopo la jam-session al Roskilde Festival del 2007, si riassaporano le live-version di alcuni brani estratti dall’onirico “The Last Resort”: da “Take Me Into Your Skin”, in cui l’orecchio attento riconosce i samples di “Blue Monday” (New Order), alla sognante “Snowflake”, che di dance ha pochissimo da offrire, da “Into The Trees”, ancora in bilico tra ambient e suono abstract, a “Miss You”, tremolante inno che ci mostra il nuovo volto di Trentemøller, più intellettualista ed incorporeo rispetto a quello adorato dai giovanissimi qualche anno fa.
-Franco Cangelli “Wee Funk” (Mowar): l’autore italo-belga, tanto legato alla musica d’oltreoceano quanto all’utilizzo del vinile, accresce la sua discografia con un decisivo tassello che taglia il nastro inaugurale della sua nuova label, la Mowar, distribuita dall’inglese Rubadub. Chi ha degustato le produzioni su Toys For Boys, Sushitech o Aesthetik saprà già cosa Cangelli vuole trasmettere con la propria musica e quali sono, essenzialmente, le sue radici. “Wee Funk” è deep-techno detroitiana, improfumata di old-school sia nella stesura che nell’incastro dei loops. Il remix di Russ Gabriel (ricordate Analogue Man su Djax-Up-Beats?) invece sembra più plastico, sebbene mantenga inalterata la scia deep e passeggi ancora su rimembranze chicago. Sul lato b Cangelli incide “Innocence In A Jar” appartandosi, pur non troppo spudoratamente, nei recinti della techno moderna coi loops appuntiti in stile M_nus. Caldissima la versione di Leopoldo Rosa aka Lerosa, tra gli artisti più imprevedibili degli ultimi tempi, ad appannaggio del suono ibizenco che, al suo interno, centrifuga lounge, downtempo e dance caliente, da ballare sotto il cocente sole o sotto la rischiarante luna.
-Miss Kittin “Grace” (Nobody’s Bizzness): estratto dal secondo album da solista, quel “Batbox” che ha fatto borbottare positivamente la critica europea, “Grace” è la proposta estiva di Miss Kittin, l’ormai ex ‘reginetta dell’electroclash’. Se l’Original Mix ha il gusto del post-rock arrotolato intorno a linee pseudo melodiche alla Alter Ego ma con minore approccio dance, il remix di Martinez sposta il tutto sulla tech-house adorata dalle platee europee ma non così dissimile dalle migliaia di dischi attualmente in circolazione. Più intrigante la versione di Roger Semsroth alias Sleeparchive, gotica e pulsante, scritta su un groove quasi distorto e contornato da tenebrose linee di pads.
-Felix Kröcher “Palazzo Vol. 7” (T:Classixx): l’abbiamo conosciuto nel 2004 con l’hardtechno ed oggi, a soli quattro anni dall’esordio, è considerato uno dei possibili nuovi astri splendenti della techno, già in grado di smuovere le oceaniche masse dei festival estivi. I lettori di Raveline l’hanno votato come miglior dj tedesco del 2007 e così, per la prima volta dopo tanti anni, lo scettro non è toccato a Sven (Väth) o a Paul (Van Dyk). Segno dei tempi che cambiano? Forse. Di certo è che oggi il buon Felix, per il settimo volume della serie dedicata all’indimenticato Palazzo Club, tiene testa ai suoi predecessori (Marco Remus, Gayle San, Dj Rush, Eric Sneo, Pet Duo, Valentino Kanzyani), mixando sedici tracce energiche che spesso si rifanno alla corrente dell’hardgroove. Chris Liebing, Adam Beyer, Silent Breed (ossia Thomas P. Heckmann), Robert Hood, Alex Bau, sono alcuni degli autori selezionati dal giovane tedesco che non si tira indietro di fronte a qualche virata trendy (“Zinga” degli Italoboyz e “Spastik” di Plastikman ritoccata da Dubfire). Comunque sia resta un buon set, ricco di vigore e che farà sudare per tutta l’estate.
-Black Affair “It’s Real” (V2): Black Affair è il più recente progetto dell’audace Steve Mason, già dietro King Biscuit Time e The Beta Band. “It’s Real” è il pezzo da suonare a chi inizia a soffrire troppo la mancanza dell’electroclash: un bassline rotondo orna il brano un pò italo, un pò disco, con un pizzico di cantilena pop attorcigliata a suoni radiosi. Il remix di Trevor Jackson (Playgroup) tende a smussarne e levigarne i ritmi rallentandone l’andatura: preferisco l’allegria dell’Original. Da non tralasciare l’indie-rock di “Fingerability”, non dissimile dallo stile Kitsuné e dai Fischerspooner. Più di qualcuno ne parla come una potenziale hit estiva, insieme a Sebastien Tellier e Sam Sparro.
-Scratch Massive “Underground Needs Your Money Baby” (Chateaurouge/Modulor): il nuovo lp degli Scratch Massive, il secondo dopo “Enemy & Lovers” prodotto, nel 2003, sotto la supervisione di Cristian Vogel, si apre con un titolo che dice tutto su ciò che il panorama underground necessita, oggi più rispetto a qualche tempo fa. Maud Geffray e Sebastien Chenut, per tempo residents al Pulp di Parigi prima della definitiva chiusura (2007), si fanno spazio con il loro suono intagliato tanto nella techno quanto nell’house, con qualche impennata electro. Lontano dal classico ‘french-touch’, il disco vive e si dimostra in suoni soffusi, lasciati combaciare in scricchiolanti glitches fatti suonare perfettamente nel master di Moritz Von Oswald (Basic Channel, Maurizio). Dodici le tracce, tutte ideate per i clubs, localizzate tra il suono alla Crack&Speed e quello alla Freak n’ Chic, poco melodico e tanto ‘groovoso’. Personalmente “13 Mesures”, “Like You Said”, “White Flash” e “Shining In My Vein” (remixata dagli Spirit Catcher) sono quelle che mi lasciano i ricordi migliori, oltre alla ben conosciuta “Girls On Top” con le misure breakkate pronte ad attestare la versatilità del progetto. Il package si avvale, peraltro, di un dvd con cui si potrà curiosare tra concerti, backstage ed altro ancora.
-Marbert Rocel “Cornflakeboy Remix E.p.” (Compost): il trio composto da Marcel Aue, Robert Krause ed Antje Seifarth si lascia mettere le mani addosso al fine di veder ricostruire tre tracce estratte dall’album “Speed Emotions”, pubblicato lo scorso autunno. Su “The Harder They Come” lavorano i Krause Duo, scavando nel solco della microtechno (o della microhouse?), rendendo nitidi rintocchi metallici e mettendo, in primo piano, la parte vocale effettata, quasi indistinguibile nella giugla di hihat. Poi “’Cause You”, riletta dall’irlandese John Daly, trasformata in una locomotiva posizionata sui binari deep alla Drumpoet Community e Plastic City. Il migliore però resta quel “Cornflakeboy”, tirato a nuovo da Solomun che ne forgia una strepitosa Vocal Mix a presa rapida, melodica quel che basta per assomigliare ad una vocal-pop-hit pronta ad assalire le charts. Per chi invece predilige il suono più fumoso, il prolifico Mladen Solomun mette a disposizione la conturbante Dub Mix.
-Radioactiveman “Growl” (Control Tower): racchiuso in una copertina che ricorda lo stile graffitaro di Keith Haring, “Growl” si muove su rotaie elettroniche che, nel corso del tragitto, viene convogliato verso direzioni rock, pop ed indie. A produrlo è Keith Tenniswood, partner di Andrew Weatherall nello storico Two Lone Swordsmen, desideroso di fornire un follow-up all’altezza del precedente “Booby Trap” del 2003. Si tratta di un lavoro spassoso e sorridente, come pochi al momento, mai imbruttito da esasperanti loops circolari o da suonini piazzati a caso qua e là sulla stesura. Essenzialmente si tratta di electro-retro, indicata agli appassionati di suoni vintage, di tanto in tanto aperta verso scenari più adatti alle dancefloors (come “Nothing At All”, in cui la voce di Dot Allison ricorda quella di Miss Kittin). Ottime le sferzate speedy-electro (“Dalston To Detroit”, “State Of That”) in cui Tenniswood arpiona la tipica break americana, sullo stile del campionario Interdimensional Transmission. “Growl” è l’occhio su un mondo popolato da fumetti e cartoni animati, pupazzetti colorati e colori sgargianti. Un mondo su cui qualcuno vorrebbe vivere e su cui qualcuno dice di esserci già stato.
Electric greetz