A due anni da “Internal Space” pubblicato su Out Of Orbit il giovanissimo Martin Swanstein alias Martinez si ripresenta al grande pubblico con un lavoro che la critica estera ha già definito più maturo del precedente. Se fino a qualche tempo fa la sua attenzione era rivolta essenzialmente alle melodie e alla loro complementarietà adesso tutto si riduce alla sintesi di minimal-techno. A segnare il visibile quanto palese cambio di registro è anche la nascita della Re:connected, l’etichetta con cui il produttore svedese (ma danese d’adozione) riprende il discorso lasciato in sospeso dalla citata Out Of Orbit maggiormente orientata su un segmento che in tanti hanno ribattezzato minimal-trance-house. In “A Chemical Imbalance”, questo il titolo del follow-up di “Internal Space”, è possibile rintracciare tanti loops ipnotici che pagano il tributo alla techno dei primi anni novanta, al Richie Hawtin ‘travestito’ da Plastikman, ai vari Cabinet, ai Plus 8, al Jeff Mills più tagliente, al Cari Lekebusch incontaminato, al Kenny Larkin meno selvaggio. Tra le tracce più intriganti trovo “Tuna Belly”, “Lowdown” (chiaro omaggio alla chicago-house d’oltreoceano), “Land-Crab”, e “La Macchina” in cui miriadi di percussioni vengono abilmente mischiate a suoni grattati, scuri e metallici. Martinez ha attualizzato il suo stile per rimanere sotto la luce dei riflettori. E ce la farà .
-Mijk Van Dijk “Boa/Mamba” (BluFin): lasciatosi alle spalle una fase creativa piuttosto destabilizzante per la carriera Mijk Van Dijk pare aver ritrovato lo smalto dei tempi in cui l’Europa ballava i ritmi di “Suck My Soul”, “More” e “Never Have It Cold”. Certo, anche lui, come tutti del resto, ha progressivamente mutato la sua musica globalizzandola intorno ad un concetto di electro-techno-house ora comune in tutta l’Europa. Ciò comporta conseguentemente la perdita dei connotati originali. Per il ritorno su BluFin il tedesco decide di affrontare la tematica dei serpenti africani tirando in ballo (è proprio il caso di dirlo) il Boa e il meno noto Mamba, accomunati dal loro letale veleno. Il produttore intende fornire i dancefloors di una pozione risolutrice, un pò magica, che con “Boa” cola su un basso che davvero tanto assomiglia a quello di “Flat Beat” (Mr. Oizo, 1999) e con “Mamba” s’installa su strutture circolari azzannate da suoni distorti e sincopati. A fare da bonus è il remix di “Boa” firmato da Ramon Zenker (Hardfloor) che ne pialla i ritmi e leviga i bassi adattandoli alla perfetta forma idolatrata dalla BluFin.
-Sneak-Thief/Polygamy Boys “Parallel Percepts E.p.” (Moustache): la neo-etichetta di Rotterdam fondata da David Vunk e Seutek (entrambi nella formazione dei Pussycat) arruola nella squadra Michel Morin aka Sneak-Thief e il ‘socio’ Stephan Busche con cui divide, dal 2003, il progetto Polygamy Boys. Il nome del canadese (ormai trapiantato a Berlino) diventa sempre più ricorrente nella produzione nord-europea dopo apparizioni di spessore su Lasergun, Beautycase, Voltage Musique, Crème Organization, Mighty Robot e Klakson alle quali oggi s’aggiunge un extended play che riflette, ancora, la sua unica visione di musica meccanica in cui confluiscono elettronica ed r’n’b. “All Let Go” è un ottimo esempio di electro-funky-pop, carico nei grooves ed incisivo nella parte vocale mentre “Der Herzensbrecher” appare più sognante (con melodie bleepy zigzaganti) ma sempre col giusto mood per far muovere a ritmo anche i più restii. Il lato b lo realizza insieme al citato Busche tenendo a mente la new-wave e il post-electro-pop (“Life Support”, in cui si riprende il meccanicismo di Dopplereffekt ma trasportandolo su ritmi meno basici) e la gothic-italo-disco-ebm di “Russian Roulette” (nella Loser Mix, il che lascerebbe presagire l’esistenza di una Winner Mix), perfettamente in linea con le trascorse esperienze su Bunker, Space Factory, GoodLife e KarateMusik.
-Motor City Drum Ensemble “Get Slapped Up” (Compost Black Label): poche le loro produzioni ma tutte di notevole effetto. Danilo Plessow (attivo anche con fantasiosi pseudonimi come Hipster Wonkaz, Aphro Pzyko ed Inverse Cinematics) e Joakim Tobias si distinguono oggi per un suono che rovista ordinatamente nel break e nel jazz ma che nel contempo si rende appetibile per le dancefloors. Le influenze per l’imminente Black Label #027 di Compost vanno infatti ricercate nelle influenze di ieri, quelle di Larry Heard, Chez Damier, Underground Resistance e Moodymann. Tanta deep-house intarsiata di techno-soul-detroit: aspettatevi questo da “Get Slapped Up” affiancata da “Stripped Down To The Bone” lanciata sulla scia afro-dark ed “SMK Part 2” (e la Part 1 dov’è finita?) coi suoi taglienti hihats che tagliano vicendevolmente la garage del 2000. E’ il disco che fa per voi se siete fan di Âme, Zoltar e Micatone e supporter di labels come 20:20 Vision, Delsin ed, ovviamente, Compost.
-Legowelt/Orgue Electronique/Gibson Fowler “E.p.” (Clone X): praticamente un white-label questo Clone X #26 che (ri)mette insieme due degli artisti maggiormente rappresentativi della scuola elettronica made in Holland. Danny ‘Legowelt’ Wolfers, con la sua “Dx Days”, staziona tra mistero e dance ‘ottantosa’ dal retrogusto analogico mentre Brian ‘Orgue Electronique’ Chinetti, attraverso “On A String”, lascia prevalere la chiara ispirazione dalla chicago-house di un ventennio addietro costruita attraverso la sovrapposizione di una Tr-808 ed un sinuoso bassline (forse un Tb-303). Ad aggiungersi è “House Galore” dello sconosciuto Gibson Fowler (che siano sempre loro sotto mentite spoglie?), brano che sputa fuori ancora chicago-house, sporca e talmente sincopata da far balbettare ogni speaker che ne diffonde il suono. Cercatelo in fretta visto che le copie disponibili non sono molte.
-Atomizer “Je Suis Lesbien E.p.” (NagNagNag Records): ve li ricordate quando, nell’autunno del 2002, ruppero la monotonia della scena inglese sempre troppo legata alla deep-house-progressive? La loro “Hooked On Radiation” (remixata in seguito dai Pet Shop Boys) è oggi considerata una pietra miliare dell’itinerario seguito da Hell e dalla sua International Deejay Gigolo. Poi la carriera degli Atomizer (Jonny ‘Slut’ Melton e Fil ‘OK’ Jones) è proseguita di pari passo a quella degli amici e connazionali Punx Soundcheck con cui si sono divisi idealmente lo scettro del regno electroclash inglese in oltraggiosi clubs come NagNagNag e The Cock. Ai tempi d’oggi, in cui l’electroclash è stato quasi del tutto cancellato da altre scuole di pensiero e vive solo camuffandosi da indie, gli Atomizer decidono di rimettersi in discussione. Qualcuno potrebbe parlare di ‘impersonalità ‘ ma quella del duo britannico in realtà è solo voglia di lasciarsi alle spalle il passato e pensare al futuro. Quel futuro che prende spunto da Pierre Molinier, tra i surrealisti francesi ad essere considerato tra i pionieri dell’esplorazione della sessualità oltre la canonicità . “Je Suis Lesbien” è il tributo a lui dedicato in cui la grinta degli anni passati viene messa un pò da parte. “Leon” poi pare un Dapayk velocizzato, “Boys Do It Better” è bleepy-dark, “Dirty Nurse” è graffiante come certe cose di Ed Banger. Per i maniaci del download ci sono i remix di “Rot Of The Stars” e “I’d Prefere Not To” che non si discostano così tanto dallo stile Relish.
-Bangkok Impact “Premature Ejaculation” (Crème Organization): dopo due anni Sami Liuski ritorna sulla label che, nel 2001, è riuscita a lanciarlo in modo sorprendente. Per l’atteso e desiderato ritorno sull’etichetta di Dj TLR il finnico confeziona una doppietta niente male di musica definibile new-school-disco, continuata nel solco di passate hits come “Masters Of The Universe” ed “Aspirin”. “Premature Ejaculation” scala le timbriche tipiche anni ottanta mentre “You Are Rubber I Am Glue” si mette meglio in evidenza grazie ad un’impostazione di matrice moroderiana. Sembra strano che da Rovaniemi (un paesello localizzato nell’estremo nord della gelida Finlandia) possa arrivare un suono così caldo e solare come quello impresso nei solchi del nuovo Crème. Nonostante tutto però non riesco a ritrovare la magia di “Traveller”, l’album del 2003 che al suo interno celava più di qualche gradita sopresa in grado d’incuriosire anche un big come Sven Väth.
-Zombie Nation “Gizmode” (UKW): di tempo ne è passato da quando Florian Senfter giocava con l’electro-retro insieme all’amico Mooner Industries (insieme, nel 1999, idearono l’album “Leichenschmaus” dal quale fu estratta la fortunata “Kernkraft 400”). Adesso, lasciandosi alle spalle la gradita collaborazione con Tiga (ZZT, con cui hanno voluto dare un contrappeso all’epico “Higher State Of Consciousness” di Josh Wink, 1995) ed un album non proprio fortissimo (“Black Toys”), il producer monegasco si fa risentire con “Gizmode”, ottavo capitolo di UKW, ormai candidata a prendere il posto della dispersa Dekathlon. Il brano recupera il classico rumorismo alla Zombie Nation, quelle sfibrate di synths che ondeggiano nervosamente e lasciano filtrare una luce intermittente, per l’occasione ravvivata da strambi samples funky. Sulla b-side trovate “Filter Jerks” che al primo ascolto mi ha condotto per mano nel corridoio sonoro di artisti francesi come Justice e Kavinsky. Rumori, ritmi sincopati e tanto noize per uno Zombie Nation che tenta la rimonta. E noi facciamo il tifo per lui.
-Quarion “Karasu” -the remixes- (Drumpoet Community): da Zurigo arriva ancora buona musica. Questa volta il team di Drumpoet Community decide di lasciare nuovamente spazio a “Karasu”, uscito giusto un anno addietro, dandolo in pasto a due nomi eminenti della scena elettronica contemporanea. Non spostandosi dalla Svizzera il brano, già adorato da Âme, Dixon, Derrick May e Laurent Garnier, si rimette in gioco attraverso due inedite versioni che, a pochi giorni dalla pubblicazione, stanno già creando notevole buzz nell’ambiente. A Berna Sam ‘Deetron’ Geiser lo ritocca in un blocco sonoro che si tinge di detroit e deep-techno, circolare come le vecchie cose di Jeff Mills su Purpose Maker ed Axis ma con qualche tinta di colore in più. Arriva da Ginevra invece la versione di Gregor ‘Crowdpleaser’ Schönborn, nome che abbiamo imparato a conoscere attraverso la Mental Groove. Qui l’odore è quello di una deep-house rinforzata nei ritmi, decisa nell’andatura e legata concettualmente all’ipnotismo più marcato. Un disco elegante che evita in modo chiaro il filone commerciale.
-Bogdan Raczynski “Alright!” (Rephlex): è ormai noto a tutti che dalla label di Richard D. James e Grant Wilson-Claridge non ci si può (e tantomeno deve) aspettare musica convenzionale, ‘inscatolata’ entro i parametri del business. L’estroso Raczynski, pilastro della jungle più sperimentale nonchè collaboratore di Björk, mette a cuocere nel suo nuovo album molti stili che, tra loro, mantengono in comune un chiaro punto di contatto ossia gli anni novanta. 8 tracce in quasi 43 minuti di frenesia e desiderio di librare nell’aria l’old-school-rave, l’hardcore-dance, il drum’n’bass, la low-fi-techno, l’eurodance rivista e corretta e l’acidcore. Tutto questo per iniettare un pò di gioia e magia nella nostra vita e, soprattutto, nella nostra anima attanagliata sempre da mille problemi. Non fatevi intimorire dal complicato nome dell’artista: a me piace immaginarlo come un amico che invita ad ascoltare vecchi (ed impolverati) dischi nel suo piccolo home-studio. Un raggio di luce nell’oscurità : questa la metafora di “Alright!”, un disco da scoprire pian piano pensando a quando eravamo più piccoli. Già , perchè gli anni novanta non sono poi così vicini come a volte immaginiamo.
Electric greetz