Hanno rappresentato, tra la fine degli anni novanta e i primi anni del duemila, il punto di riferimento per la produzione electro-pop che, attingendo dall’electro e dalla new-wave degli anni ottanta, è divenuta uno stile a sè stante. Si parla di Caroline ‘Miss Kittin‘ Hervé e Michel ‘The Hacker‘ Amato, ufficialmente lanciati sulle vette delle charts internazionali nel 1998 grazie a “1982”, al tempo licenziata anche in Italia. Il supporto da parte dell’International Deejay Gigolo, a cui spetta il merito di aver creduto per prima nella loro musica, poi ha fatto il resto trascinando la coppia di Grenoble sulle prime pagine dei magazines musicali di tutto il mondo grazie ad un album, “First Album”, rimasto una pietra miliare dell’electro-pop dalla quale si tirò poi fuori l’essenza electroclash. Pezzi come “Frank Sinatra”, “Stock Exchange” e “The Beach” hanno continuato a tenere saldo il duo sino al 2003, anno in cui l’alleanza pare sgretolarsi in favore delle rispettive carriere da solisti. Oggi, a sei anni da quell’osannato album rimasto l’unico di una carriera interrotta forse dai troppi impegni derivati da un successo tutt’altro che prevedibile, i due francesi tornano in studio per “Hometown E.p.”, la cui uscita è prevista per il 25 giugno su GoodLife, etichetta di cui Amato è manager assieme ad Oxia ed Alex Reynaud. Il disco è composto da “Hometown”, un classico electro-pop che rilancia lo stile che li ha resi popolari nel mondo, e “Dimanche”, viaggio di dieci minuti all’interno di una session acida da ascoltare a notte fonda. Ma non è tutto: Miss Kittin & The Hacker ritornano insieme anche sul palco a cinque anni dal loro ultimo live-act. La prima data è fissata per il 19 luglio presso Le Pont Du Gard, a sud della Francia. Pare che le novità non siano ancora esaurite e qualcuno sostiene già che, per l’inverno, potrebbe uscire il tanto atteso follow-up di “First Album” che rilancerebbe in modo eclatante la carriera di Miss Kittin & The Hacker.
-Matthew Dear “Asa Breed” (Ghostly International): ritmi ciclici erosi dagli effetti vengono coniugati in modo sopraffino alle sensazioni ambient di Brian Eno e Thomas Brinkmann raggiungendo un risultato che eleva Dear come campione del microsound nel Nord America. La sua musica è una rilettura in chiave personale delle sonorità del momento, prima insita nell’house elettronica (“Fleece On Brain”) e poi spinta più sulle melodie (“Neighborhoods”) che nonostante tutto mantengono integro il loro stato d’astrazione. Passando per il pop-alternativo di “Deserter” e per i beats africani di “Shy” è possibile raggiungere una fusione singolare di suoni e stili con “Elementary Lover” e “Death To Feelers”. Tra le più immediate sicuramente “Don And Sherri”, raffinata house accostabile a quella di producers come Playgroup, Laurent Garnier e Jori Hulkkonen e “Will Gravity Win Tonight?” edificata su lancinanti minimalismi.
-Jaumëtic “Dulces Paparruchas” (Regular): Jaume Pagès torna a parlare attraverso la sua etichetta, la spagnola Regular, sulla quale abbiamo già degustato “Miamibi”, “Lash Series No. 1” e “Ziga-Zaga”. La title-track di questo #031 lascia scivolare sotto la puntina ritmi tech-house, rumori ed una scia acid decisamente frizzante. Peccato che dalla metà in poi il pezzo inforchi una strada che oltre a grooves ed fx non porti davvero da nessuna parte. Sul lato b trova spazio “Terribles Albricias” in cui si sentono chiari i ricordi di Chicago ben filtrati attraverso un’ottica moderna con ritmi pieni di accorgimenti e non troppo minimali. Dance, dance, dance …
-Marco Bailey “Live At Ageha Tokyo” (MB Elektronics): registrato lo scorso 21 febbraio in occasione di una gig presso l’Ageha di Tokyo, il set del dj-producer belga è davvero soddisfacente tenendo conto che questa volta a venir fuori sono solo suoni laceranti e beats pressanti. A presenziare sono pezzi di Furry Nipples, Deetron, Samuel L. Session, Paco Osuna, Adam Proll, Johannes Heil e Q’Hey, mente della Moon Age Recordings sulla quale il belga è apparso anni addietro. Incessante ed accecante come pochi mix-cd’s attualmente in circolazione, “Live At Ageha Tokyo” continua la corsa al fianco di Dj Tonio & Olivier Giacomotto, Phil Kieran, Tekel, Tom Hades, Jon Rundell, Aril Brikha e lo stesso Bailey prima con “Deep & Fried” e “Shading The Freaks” (in coppia con l’inossidabile Redhead) e poi con l’energica “Around The Planet” che prende la linfa vitale dalla vecchia ebm.
-Pierce & Wesen “Wir Gefühl” (BluFin): inarrestabile la BluFin di Colonia inizia a piegare verso il minimal lasciandosi dietro la scia electro-house ben sfruttata negli ultimi due anni. L’Original di “Wir Gefühl” è gracchiante e scricchiolante, dall’andatura trippy ed avvolta da un basso che sembra quello di “Under The Influence” dei Chemical Brothers (1999); il remix di Joachim Spieth mantiene inalterato lo stato di minimalismo alla M_Nus o Figoli, ieri novità ed oggi moda. A chiudere è “Irr Gefühl”, ancora lanciata su suoni sotterranei e fluidi ma con qualche attinenza in più all’electro-house riscontrabile dei movimenti del basso.
-The Weathermen “The Last Communique From The Weathermen” (Pias): la band ebm nata nei primi anni ottanta dalla collaborazione tra Bruce Geduldig (già nei Tuxedomoon) e Jean-Marc Lederman (tra i veterani della musica elettronica belga) torna ad essere protagonista con una raccolta che sintetizza la loro attività ultraventennale. A giudicare dal titolo sembrerebbe di trovarci di fronte all’ultimo tassello dell’avventura scandita da pezzi come “Old Friend Sam”, “Deep Down South” e “Berlin” in cui è possibile riassaporare tutto il gusto dell’electronic-body-music. Dal passato al presente grazie alle più recenti “Daytime Tv”, “Transit”, “I’m Tight” e “Domotic” che proseguono nel narrare le gesta dei The Weathermen, stella splendente della musica elettronica belga.
-On-Off “Strikesback E.p.” (All You Can Beat): è la terza volta che fronteggiamo col progetto di Housemeister e Fabian Feyerabendt dei Tok Tok e le novità non si esauriscono. La vena creativa nasce essenzialmente dalla manualità di vecchie apparecchiature hardware, in primis il Tb-303 con le modifiche di Devil Fish che la fa da padrone in “Strikesback” insieme al suono piallato di vecchi sintetizzatori analogici e samples vocali (‘prelevati’ tempo fa da un video su You Tube) che portano alla sintesi di una neo-acid rivista in ottica piuttosto sperimentale. Più tranquilla è l’andatura di “Good Times” dalla quale si leva l’immediatezza degli strumenti ‘veri’ che contrasta vivacemente con “Attack, Attack”, escursione di dieci minuti all’interno della techno-trance del nuovo millennio. Tutto fuorchè seriale.
-Glacier “Fall River Road” (Wagon Repair): Glacier segna l’incontro tra il cileno Pier Bucci e l’americano Crazy Larry, il punto d’unione tra ritmi e melodie dal gusto latino e il rimbombo dei tipici intrecci percussivi made in U.S.A.. La title-track non è altro che un tool minimale ravvivato da sparpagliati effetti liquefatti mentre “Rocky Mountains” è un costrutto da cui si erge un bassline intermittente e pulsante combinato a suoni meno astratti del solito. Sul lato b, con “Ultrasonic Humidifier”, si torna a battere la strada dei ritmi metallici, liquidi e scivolosi, riedizione del più datato minimal che negli anni novanta viveva nei meandri dell’underground e che oggi, grazie ad una massiccia produzione (soprattutto tedesca) è riuscito a saltare la staccionata e ritagliarsi una scena propria lasciando ben poco spazio ad altre tipologie sonore.
-Slam “Human Response” (Soma): è pronto al varo il quarto album di Stuart McMillan ed Orde Meikle che, oltre ad accorciare ulteriormente le distanze tra house e techno, introducono all’electronica e alla musica da camera. Certo, i battiti dance non fanno sentire la loro mancanza (provate a suonare “No One Left To Follow” avvalorato dal featuring di My Robot Friend e “Looking North”, re-edit del pezzo omonimo già presente sul Soma #200) ma credo che l’impronta di “Human Response” sia proprio quella delle atmosfere eteree, diverse da pezzi come “Alien Radio” e “Lifetimes” che portarono il duo scozzese sulle vette delle charts internazionali nel 2001.
-Club Bangahs “Headless” (Mole Listening Pearls): la label attualmente guidata da Robert Jan Meyer alias Minus 8 ci fornisce un album (il primo per i Club Bangahs) decisamente perfetto per le caldi notti estive. Qui si mischia il dub all’afro passando per un radioso gusto latino lontano da stereotipi e mode del momento. “High Noon” vi trasporterà sul set di 007 e mentre armeggiate con macchine da presa e controfigure vi potrebbe capitare di ascoltare dell’ottimo r’n’b (“Move On”), della frastagliata drum’n’bass (“Se Moca We”), del jazz (“Trumpet Man”) e del pop (“I Love You”) passando dalla spensierata “Millbros” (che sembra riprendere una celebre hit). Più del classico lounge da spiaggia “Headless” è l’incarnazione perfetta delle fusioni tra più stili. Come quella del volto ritratto in copertina.
Electric greetz