Cocoon è la fortunata erede di Harthouse ed Eye Q, le labels che Sven Väth lanciò (in collaborazione con Heinz Roth e Matthias Hoffmann) nei primissimi anni novanta col preciso intento di promuovere musica diversa da quella che seguiva la massa. Oggi Cocoon rappresenta un pò la ‘madre’ della tendenza tedesca, la piattaforma capace di incarnare sempre il gusto teutonico e il suo continuo sbilanciarsi da uno stile all’altro. Eletta come migliore etichetta del 2006 da Raveline, l’autorevole magazine tedesco, Cocoon è tra le poche a potersi permettere di stampare un numero piuttosto corposo di vinili e cd’s anche in un periodo in cui, è risaputo, la discografia generale arranca non poco. E’ il caso di “Zwei”, raccolta delle tracce pubblicate nell’ultimo anno solo in vinile riuscite a far rimanere la label sulla vetta di un ipotetico monte di cui tantissimi aspirano a toccarne la cima. Come già avvenuto per il precedente “Eins”, la selezione e il mixaggio sono stati affidati a Chris Tietjen, simbolo della nuova generazione di dj’s tedeschi reclutato nel celeberrimo Cocoon Club di Francoforte. Al giovane è stato dato il compito di compilare il paragrafo della storia più recente della label ripescando dal catalogo (che da poco ha tagliato il traguardo delle trenta uscite) più vicino ai giorni nostri adagiandosi su un tappeto tra tech-house e minimal, mix stilistico decisamente contrapposto agli estremismi degli anni scorsi e più globalizzato. Guy Gerber & Shlomi Aber, Pig & Dan e Fuckaponydelic (alias Jay Haze) sono solo alcuni dei protagonisti di “Zwei” arricchita da presenze di nomi che oggi vivono una parabola del tutto ascendente nel panorama internazionale: da Dominik Eulberg con “Bionik” a David K con “Mayann”, da Adam Beyer con “Stereotypes” ad Extrawelt con “Titelheld” sino ad Adam Proll con “Hummel” e il bravo Loco Dice con “Carthago”. Sostanzialmente si tratta di una retrospettiva atta a radunare le orme più evidenti lasciate da Cocoon nel suo ultimo anno (cronologicamente parlando) d’attività . Il mastering finale è di Brian Sanhaji (che i più attenti ricorderanno per una serie di uscite su Punkt Music, Quaquaversal, Northbeatz Audio e la sua Enable Recordings dove spesso appare come Relic) mentre l’atmosfera è quella del Cocoon Club in cui a spadroneggiare sono basslines spumeggianti e ritmi trascinanti.
-Luke Fair “Balance 11” (EQ Recordings): ormai celebre in tutto il mondo, la tradizione di “Balance” prosegue con Luke Fair, già noto per produzioni su Bedrock. Il canadese dimostra di saper spaziare con disinvoltura dalla house più soft, spesso connessa alla slow-trance e neo-funk, alla progressive melodica ma più aggressiva dal punto di vista dei grooves. Nel cd 1 dosa pacamente i ritmi e tiene banco attraverso frequenti intrusioni di funk e di electro rintracciabili in pezzi di Mitsu con “Serene”, Delgui con “Highlights” (il rework è di Charles Webster) e del redivivo Wamdue Project con “Home Planet”, tributo all’electro-disco dalle chiare reminiscenze anni ottanta mentre nel 2 si diverte nell’assemblare un tragitto più clubby creato dall’incastro tra funky-house e techno, deep e progressive-trance. Con questo intento emergono le presenze di Francois K, Tamara’s World, Elektrochemie LK, 16 Bit Lolitas, Marnix, Humate, Subtech, Schwab e Timewriter remixato da Ian Pooley. Un altro centro.
-Don Cash “Disco Wreck” (Relish): la svolta della carriera di Don Cash avviene a cinque anni (ed una decina di singoli) dalla sua prima apparizione (2001) grazie a Robi Insinna che lo invita ad entrare nella famiglia Relish che col suo punk-disco-funk illuminato da reminscenze alla LCD Soundstystem, ci va a nozze. “Disco Wreck” è esattamente il pezzo forgiato sullo stile inglese in cui taglienti hihats in levare danno il tempo a potenti picked bass. Meno scomposto ma più funzionale per i clubs il remix di Headman (che a volte ricorda le scorribande degli Atomizer) mentre ‘nu-rock’ è il sunto di “Hey There”. Da non sottovalutare il remix di “Don’t Crash” realizzato da Dirty 30 che immobilizza appuntiti suoni stile Alter Ego entro ritmi contorti dalla spinta di controtempi che forniscono sempre vigore e colore.
-A2Z “Swimming With Sharks” (BluFin): è il terzo anno consecutivo in cui John Acquaviva e Ramon Zenker (ormai due leggende per la musica elettronica degli ultimi quindici anni) uniscono le forze per il progetto A2Z. Nel 2005 con “Cheap & Fat”, nel 2006 con “Sugar Fix” ed ora con “Swimming With Sharks” che non tradisce le aspettative dei fans dosando con cura un’electro-house immediata e forgiata su giochi tra basslines e ritmi, formula che ha portato in alto la BluFin di Colonia. Tre i remix: quello di Remo che ricorda le modulazioni trance-acquatiche di Martinez, quello di Olivier Giacomotto che calca più sul lato dark e quello di Eduardo Rossell che scruta itinerari più deep e sotterranei sullo stile Mobilee. Mi chiedo solo se i due autori abbiano davvero il coraggio di immergersi in una vasca popolata da affamati squali.
-Modeselektor “Boogybytes 3” (BPitch Control): il nuovo capitolo di “Boogybytes” è confezionato dai Modeselektor (Gernot Bronsert e Sebastian Szary) tra gli artisti più estrosi e meno prevedibili della scuderia messa su dalla Allien. Partendo dall’hip-hop i tedeschi finiscono col selezionare della fine minimal-techno intrecciata al reggae e al dancehall, tutto unito col fine di rappresentare l’esternazione di un amore per la musica in generale a patto che questa esca dai canoni usuali della prevedibilità . In prima linea ci sono beats spezzati, suoni rimbalzanti come palline da tennis, sapori reggae, industrial, dancehall, dub, jungle e funk, stili che secondo voci di corridoio si ritroveranno nel nuovo album in uscita dopo l’estate, follow-up del fortunato “Hello Mom!” del 2005.
-Composite Profuse “Roma Aeterna” (Bunker): adottato dalla Bunker di Guy Tavares come Acca Laurentia fece con Romolo e Remo, Valerio Lombardozzi alias Composite Profuse (già a capo di MinimalRome divenuta fondamentale sostegno per la pressapochista visione electro italica) incide un mini-album scaturito dall’amore per la sinistra electro di Detroit che trovò come massimi esponenti i Drexciya. Tutto filtra però attravero il tipico mood acquisito da Bunker sin dalle sue primissime apparizioni, un terrore rivoluzionario che vive all’interno della scena gotica a volte scivolata nei meandri dell’experimental più concettuale. Il risultato è un accanimento su battiti (quasi regolari) e ben calibrati in strumentazioni d’altri tempi che lasciano scrutare entro i ricordi di una scena che solo gli affezionati dimostrano di saper commentare e comprendere a fondo. Poche le copie stampate, prive di copertina e tipicamente nere come l’ambiente in cui Bunker (arrivata al suo #065, traguardo ragguardevole per una label spiccatamente underground) è totalmente immersa da anni.
-Perspects “Peopleskills” (Interdimensional Transmissions): se ne parlava da oltre un anno ma finalmente è uscito anche in Europa. Mi riferisco al primo full-lenght di Ian Clarke (un tempo artefice, insieme ad Adam Lee Miller degli Adult., del progetto Le Car) che, dal 1999, veste i panni di Perspects, alter-ego localizzato entro i parametri della musica meccanica ma spesso contagiata dal pop (è stato featuring per The Hacker e, più recentemente, per gli italiani Franz & Shape). A dire il vero in “Peopleskills” il synthpop pare lasciare il campo allo studio delle atmosfere da fantascienza (“The Soft Traffic Interrupt”, “Obsurfacer”) alternate ai classici suoni spezzettati dell’artista ma rivisti in chiave abstract (“We’re In Separate Cars”, “The Wake”). Il transito per lidi idm è opportuno in “Photofinish” e “Factory Of Tissue”, le ritmiche s’impennano sul punk (“Fact & Finger” e “Parts”) ma la più attraente rimane “Dried Funeral Siegfried” giocata sulle classiche timbriche di Perspects ma stemperate in ambientazioni più tetre, quelle che in fin dei conti pervadono per intero “Peopleskills”.
-The Unknown Wanderer “Don’t Start Just Finish It” (Pnuma): difficilmente inquadrabile in uno stile ben definito, la musica di Michael Boland schiera in prima linea ambientazioni dark ed acquatiche, da un lato tendenti all’ambient e dall’altro alla minimal più ruvida. Tutto ciò lo si ritrova proprio in “Don’t Start Just Finish It”, un viaggio tenebroso rischiarato solo in alcune parti da pseudo chitarre passate nel noize ed accerchiate da un collage di suoni soporiferi. Il remix di Alex Smoke recupera in modo più evidente le tendenze glitch, polverose e assestate su suoni tremolanti. Rimane scurissimo l’ambiente di “Living In Concrete Houses” in cui l’autore fa barcollare gli stabs e spezza di continuo ritmi poco usuali nella dance ma canonici per gli amanti di Pnuma, sublabel della più nota Soma. Uscirà a maggio.
-Moratto & Barbato “Lokomotiv” (Sincrotone): coppia già ampiamente collaudata quella di Elvio Moratto (paladino della techno-pop anni novanta) e Paolo Barbato (storico resident dell’Ambasada Gavioli in Slovenia), a volte uniti a Marco Cordi per il progetto PuNk3FuNk. L’approdo sulla giovane Sincrotone avviene per mezzo di una cassa dritta resa incandescente da un flusso incessante di digitalismi in corsa sui binari. La locomotiva si tira dietro incastri congeniali, suoni glissati ed un break a metà strada con l’ambient. La somma di tutti questi elementi fornisce un esempio di moderna progressive-techno (con tanto di super-rullata intorno al quinto minuto) da non lasciarsi sfuggire.
-David Keno & Francesco Passantino “Monosynth” (Keno Records): inizialmente annunciato su Tractorecords, la riedizione di “Monosynth” (l’originale risale al 1999) finisce sulla label di David Keno, noto anche come Vernis. La versione del tedesco, pronta già dalla primavera del 2006, mostra un tiro marcatamente electroide dettato da un bassline squadrato ed incastrato come le facce del cubo di Rubik in un groove pizzicato ed un pò scoppiettante nel quale s’infila una parte vocale in stile orientale. Meno ‘ruffiana’ e più raffinata la visione dei Kollektiv Turmstrasse (Ostwind, Musik Gewinnt Freunde) cotta a puntino tra tech-house e deep ed avvalorata da sviolinate di nu-trance che oggi pare essere il collante ideale tra gli stili. Qualcuno ne parla già come potenziale club hit.
-The Missing Link “Uncle Bill’s Cabin” (Wagon Repair): The Missing Link è il progetto di Matt Cavender, il più giovane dei fratelli Cavender dediti alla musica elettronica (Brian è noto come Seafoam mentre Doug forma, assieme a Mark Orosz, il duo degli ILK). Una famiglia di musicisti insomma che si sforza di dare il proprio contributo alla scena contemporanea attraverso trovate sempre più o meno originali. La musica di Matt prende in esame l’aspetto più glitchy della techno tanto di moda oggi forse per l’intuizione di Dapayk e di altri tedeschi che hanno caparbiamente abbinato gli aspetti tipici dell’experimental alle misure quaternarie della dance. Il risultato è un suono eroso dall’effettistica e per The Missing Link l’effettistica viene ricondotta ad influenze esercitate da storici gruppi come Cabaret Voltaire, Skinny Puppy e Nitzer Ebb. La migliore è la title-track in cui terzine sporcate dal distorsore rumoreggiano in mezzo ad un campo pseudo industrial-ebm ubicato sotto l’ala di un ambiente soffice e modellato da paradisiaci pads.
-Paul Woolford presents Bobby Peru “The Truth” (20:20 Vision): a proiettare la musica di Woolford e Peru sulle cime delle charts mondiali nel 2006 è stata la hit “Erotic Discourse”. Adesso ci riprovano con “The Truth”, un pezzo techno-house arricchito da una spruzzata di disco-funk con cui la label inglese dei 2020 Soundsystem è andata sempre d’accordo. Sul lato b “Lies” dove il tocco 90’s si rende più evidente grazie ad un conturbante vortice di neo-acid sovrapposto ad evoluzioni progressive. Sebbene a livello creativo non sia nulla di eclatante, “The Truth” si muove bene ma è difficile pronosticare se riuscirà ad eguagliare gli inaspettati risultati dei precedente.
-Matt M. Maddox/O.B.I. “The Ultimate Compression” (Compressed): l’etichetta nata nel 1999 da un’idea di Micheal Burkat ed oggi guidata da Felix Kröcher continua imperterrita a seguire il percorso dell’estremismo che risponde al nome di hardtechno, stile che trova nei Paesi dell’Est (Croazia, Slovenia, Polonia, Ungheria) le zone di massima irradiazione. Matt M. Maddox corre su tracce di Dj Ogi, Tomash Gee, Marcel Cousteau, Waldhaus, Boris S., Manu Kenton, Christian Fischer & Dj Murphy, Sandy Warez, Dj Bam Bam e l’immancabile Robert Natus. Poi, quando tocca al collega O.B.I., le velocità di crociera si fanno ancor più elevate e in alcuni punti sembra davvero di tornare ai fasti dell’hardcore olandese. E’ proprio il caso di dire che tutto viene generato da un’energia ‘compressa’ paragonabile a quella geotermica degli affascinanti geyser.
-Andreas Heiszenberger “Ah” (Normoton): a due anni da “Drum And Bass” l’estroso produttore (a cui qualcuno fa riferimento per lo strano modo di assemblare i samples) ritorna con un nuovo album dichiaratamente vissuto nella passione e mai nella ricerca di un mercato a cui doverlo affibbiare. “Ah” si rivolge in modo più intenso alla dance sebbene nelle sue sottili campiture emergano ancora tratti di dub e musica da camera. Techno miniaturizzata scorre in “Silent Hair”, fredde melanconie electro si susseguono con impeto in “Wildstyle”, connessioni ai rumori e alle percussioni si fanno vedere in “How We Feel” sino a “We Call It Minimal”, sbeffeggiamento vero e proprio della terminologia odierna. Attraverso il featuring di “So Fast” poi si rinnova la collaborazione con Catherine Huth già ospitata nel citato “Drum And Bass”.
Electric greetz