Una carriera sfolgorante quella di Kate Wax, icona di una nuova generazione saldata intorno ad una vasta gamma di stili come minimal-techno, electro-punk ed ambient-industrial. I lavori della svizzera di origine tibetana sono stati accolti con benevolenza dalla critica internazionale proprio per la varietà d’ispirazione e per una voce incantevole voluta anche da Felix Da Housecat in “Let Your Mind Be Your Bed” e “Romantique” (contenute nell’album “Devin Dazzle & The Neon Fever” del 2004). Spesso paragonata a PJ Harvey, Kate Wax sta per tornare sotto i riflettori europei attraverso un ambizioso progetto che vedrà luce il prossimo 19 marzo. Si tratta di “The Dark Heat Collection” edito dalla ginevrina Mental Groove in tre parti: la prima, distribuita solo in digitale, fatta di classici e gemme rare, la seconda composta da una serie di remix ed edits inediti, la terza fondata su registrazioni estrapolate dai numerosi live-acts che la giovane tiene ormai in tutto il mondo. Un ibrido tra dark, electro e punk lo stile rincorso dalla Wax, fortunata per avere una voce soprano cristallina ed ipnotica, a volte raffrontata a quella della collega francese Miss Kittin ma con referenze meno 80’s. “The Dark Heat Collection” pesca a piene mani dalla discografia, quantitativamente non esorbitante ma già piena di preziosità , della svizzera che giorno per giorno diviene un fenomeno sempre più grande. Ci si imbatte nel remix distorto di “Beetles & Spider” (apprezzata qualche tempo fa attraverso l’Output di Trevor ‘Playgroup’ Jackson) a firma Roman Flügel, quello chicago di “Cash On Time” di Dave The Hustler e l’edit di “Pleasure Zone” che tanto ammicca alla techno-rave anni novanta. A “Beetles & Spider” poi viene concesso anche il tocco minimal-deep di Ellen Allien & Apparat mentre a “Scream And Shout” quello fuzzy e spigoloso tipico di Kalabrese. St. Plomb mette le mani su “Killing Your Ghost” traducendo il tutto in chiave tech-house con tanto di piano rhodes e poi rimane il tempo per scatenarsi sui beats di “You Can Break My Bones”, viaggio nel minimalismo oscuro (divenuto negli ultimi anni lo stile guida di Mental Groove) e la Live Version di “Catch The Buzz” che lascia oscillare il digital-funk squarciato in più punti da laser synth-pop e new-wave. Non manca la ballata trip-hop (“Who Can Tell”) col beat ridotto ai minimi termini atta a dimostrare l’incredibile eclettismo dell’artista capace di miscelare e conciliare il pop con le melodie drammatiche tipiche della scena underground tedesca.
-Jeans Team “Kopf Auf” (Louisville Records): conclusa la collaborazione con la Kitty-Yo, il gruppo tedesco nato nel 1995 trova nella Louisville Records il partner giusto a cui affidare la sorte del nuovo album, “Kopf Auf”, il terzo della carriera dopo “Ding Dong” e “Musik Von Oben” ed inspirato dal pop potenzialmente da classifica radiofonica ma non tanto poppy da disgustare i palati dei più esigenti. Gli strumenti analogici mi mescolano a chitarre acustiche esplorando un mondo difficile da immaginare data la vasta gamma di elementi diversificati che i tedeschi abbinano con una semplicità quasi disarmante. Così, tra macchinose fermentazioni electroidi (“Silizium” e “Lattialla Taas”) si ritrovano anche canzoni da camera (“Du Bist Hamburg” e “Segel Dein Schiff”) che fanno del disco una vera gemma splendente nel mercato discografico tedesco del momento.
-Seymour Bits “The Booty Pop Phantom” (Magnetron Music): pur non essendo nuovissimo l’album in questione potrebbe apparire come news in più di qualche shop vista la distribuzione non capillare. Obiettivo del lavoro è il funk elettronico, a volte psicotico e scomposto, in altre più ordinato e tangente il pop. Ad ideare tutto ciò è Bas Bron balzato agli onori della cronaca nel 2005 per la hit “Watskeburt” e noto anche con progetti complementari come Fatima Yamaha, Gifted e Comtron (curato in coppia con l’amico Rimer Veeman). Il suo full-lenght lascia spiazzati grazie a quindici poderose tracce (alcune radunate attraverso vecchie releases su Breakin’ e Klakson) in bilico tra pfunk, electro, pop e, perchè no, italo-disco. Bassi serpeggianti e zigzaganti invadono di continuo i pezzi del producer olandese, alfiere di un caldo suono in cui il vecchio e il nuovo sono sapientemente bilanciati e tenacemente ancorati alla voglia di stupire positivamente l’ascoltatore più esigente.
-Dopplereffekt “Gesamtkunstwerk” (Clone Classic Cuts): ci aveva già pensato Hell, nel 1999, a ristampare su Gigolo l’emblematico album dello schivo e riservato Gerald Donald apparso per la prima volta sul mercato nel 1995 attraverso la Dataphysix di Detroit. Divenuto un vero e proprio cimelio, questo ‘contenitore di musica scientifica’ è oggi il vero punto di riferimento per gli appassionati dell’electro post-kraftwerkiana legata a misteriosi esperimenti da laboratorio e miscugli di sostanze chimiche. La tematica di derivazione 80’s viene sapientemente filtrata attraverso l’esperienza di Detroit e raggiunge risultati che fanno sentire piccoli e prevedibili soprattutto se si tiene conto che si tratta di un elaborato partorito alla metà degli anni novanta ma che ancora oggi qualcuno non ha imparato ad ascoltare. Un vero simbolo dello sperimentalismo che, a distanza di oltre un decennio, pare ancora rompere gli schemi costruttivi ed anticipare quel che, forse, solo un giorno verrà .
-Italoboyz “Accendiamo L’Ascensore E.p.” (Gumption Recordings): adottati da Londra all’inizio del millennio, Marco Donato e Federico Marton (alias Italoboyz) approdano alla Gumption che aveva già mostrato una particolare predilezione per la produzione italiana (Renato Figoli, Matteo Spedicati). Questa nuova release nasce dall’ibrido tra house e techno con punte di acid ed hi-tech-funk: ciò è facilmente riscontrabile in “Pornazzy”, una lunga incursione all’interno di fibrillanti snares e sciabolate di razor-sharps. Più glitchy-style le due incise sul lato opposto (“Yoshimitzu” e “Yoshimitzu Randa”) localizzate su cascate di fx e dominate dall’uso spasmodico del flanger.
-The Timewriter “Resended Part 1” (Plastic City): tra i produttori storici della deep-house tedesca, Jean Frank Cochois alias The Timewriter è protagonista di un progetto intitolato “Resended” che riporta in vita classici della sua carriera attraverso versioni firmate da nomi che per i più attenti non suoneranno certamente nuovi. Dave Spoon si occupa di “Reachin Out”, Ian Pooley di “The Booty Song” e Jesse Somfay di “Travellers Can’t Sleep”. Poi a King Britt tocca rimaneggiare “All’ve Got” e all’amico Terry Lee Brown Junior la splendida “So Much Pain Inside”. In “Resended” si registra l’apparizione di altri elementi distintivi come l’acid, la chicago-house, il tribal, la progressive, il chilly ed anche un pizzico di ambient. Decisamente variegato quindi il contenuto del progetto orientato a recuperare la storica deep-house oggi poco considerata a causa di un turbinio sonoro maggiormente futurista.
-Minilogue “Elephant’s Parade/Birdsong” (Wagon Repair): per l’esordio sulla canadese Wagon Repair il duo dei Minilogue (Marcus Henriksson e Sebastian Mullaert) s’immerge in un concept animalistico ambizioso e desideroso di portare avanti tematiche e concetti in uno stile, il minimal, che troppo spesso sacrifica anche gli ideali. “Elephant’s Parade” è il risultato di un live-act ottenuto mediante drum-machines, synths e sequencers analogici in cui i barriti dei pachidermi vengono rappresentati da linee metalliche. “Birdsong” invece scava più nell’intimo trasmettendo la voglia di volare appollaiandosi su un vibe deep decisamente sensuale e romantico (simile ai vecchi Dessous) solo a volte sporcato dal low-fi che pare voler emulare il cinguettio degli uccelli che si faranno risentire in primavera. Minimal con l’anima o animo minimale ? Forse entrambi.
-Xenon “Galaxi” (Radius): la Belga Radius riscopre la traccia scritta nel 1983 da Gianfranco Barbetta ed arrangiata da Mario Manzani col coordinamento di Marzio Dance. “Xenon Galaxy” gira su un riff potenzialmente ispirato da “Radio Station” dei cromati Rockets uscito l’anno prima al quale vengono sovrapposti beats non quantizzati, una vena a metà strada tra italo e space disco ed una parte vocale intonata col vocoder tanto in voga in quegli anni che lasciavano scrutare nel ‘technological world’ (Patrick Cowley docet). Curiosità che ricorre in “Xenon Galaxy” è l’assolo di un sintetizzatore suonato da un giovanissimo ed intraprendente Marco Masini che continuò l’esperienza con l’elettronica anche per i successivi singoli come “Symphony”, “Fantasy”, “Opera” e “The Adventure”. A colorire questa uscita sono due edits degli Idjut Boys (Dan Tyler e Conrad McDonnell) in cui furoreggiano loops ed fx che stravolgono quasi interamente la pasta grezza dell’Original conferendo al tutto quel tocco moderno tipico di Radius, label a cavallo tra passato e futuro. E il presente ? Per il momento pare messo da parte.
-Unit Black Flight “Where Is Carlos” (Strange Life Records): assaporata già nel 2004 su Bunker attraverso “Escape From Indianapolis!” la musica del misterioso Unit Black Flight ritorna sulla label olandese di Legowelt. Le referenze sono quelle della deep-dark-disco in cui s’incrociano le sottili trame di John Carpenter e Claudio Simonetti ispirate da vecchi films horror e polizieschi anni settanta. “No Turning Back” si ripresenta nella versione di Wolfers che riassembla i cocci del classico vintage-style, un pò epico nelle melodie ‘morriconiane’ sempre struggenti ed orchestrali tanto da far pensare all’Harold Faltermeyer in forma più smagliante. Legowelt, giocando a nascondino dietro lo pseudonimo Franz Falkenhaus, rimonta anche “Masking” su impalcature sonore erette su basi anni ottanta e cascate cristalline di note suonate rigorosamente con sintetizzatori analogici d’annata. Spero che dischi come questo possano rimanere lontani il più possibile dalle orecchie di coloro che pensano alla musica come qualcosa da inscatolare e consumare come un pacco di sigarette.
Electric greetz