C’è chi lo ama e chi lo odia, chi lo segue da poco meno di vent’anni e chi lo ha scoperto di recente, chi lo definisce un figlio degli anni novanta, chi del duemila. Di certo è che Anthony Bartoccetti alias Rexanthony è figlio d’arte: il padre Antonio è leader degli Antonius Rex, assoluti pionieri del gothic-rock italiano, la madre, Doris Norton, è da annoverare tra i precursori della musica elettronica. E’ da loro che il poco più che trentenne ha ereditato la cura, quasi maniacale, per avanguardia e sperimentazione. Nei suoi innumerevoli albums è riuscito quasi sempre a coniugare tradizione ed innovazione, anticipando molte volte i trends del futuro (l’hardcore, l’hardstyle, la dream-techno, l’acid-trance). Oggi, a ben diciassette anni dal suo esordio discografico, l’artista marchigiano si rimette ancora una volta in discussione, evitando di ripetersi e il ripetersi di formule già sondate e proposte al grande pubblico. Il nuovo album si intitola “War Robots” ed è incentrato sulla tematica dell’inutilità della guerra nel mondo postmoderno. Dieci tracce ed un videoclip (per “Crime”) attraverso cui (ri)scopriamo un nuovo Rexanthony, che si spinge sino a lambire il rock elettronico alla Chemical Brothers o, per rimanere negli ambienti sotterranei, alla Fluke, e il post-industrial alla The Prodigy che, ad onor del vero, aveva già affrontato oltre dieci anni or sono in “Audax”. Chitarre distorte e ritmi sviluppati su movimenti non legati esclusivamente al movimento ciclico del loop caratterizzano “War Robots”: da “Warstop” a “Love And Peace”, da “Crime” a “Why These Wars”, da “Mylife” a “Guantanamo” ed “Iraq”, tutte catalizzate sul tema del conflitto in Medio Oriente. In “Psychowars” si potrebbe intravedere una variante dell’hardstyle innestata in bpm meno compulsivi, “War Robots” lascia riscoprire la vena epica che caratterizzò le hits più sbalorditive della sua carriera (“Capturing Matrix” e “Polaris Dream”, del 1995) ma in una chiave inedita che esplora ritmi non strettamente collegati alla dance (dub, big-beat). Un lavoro che non teme il confronto col moderno e che soprattutto riesce ad imporsi con la creatività in un marasma di pubblicazioni sempre troppo simili tra di loro.
-Various “2 Years Elektrotribe” (Elektrotribe): nata nel 2006 sui beats dell’hip-hop astratto di Soulkut, l’Elektrotribe compie il secondo anno di attività . Per celebrarlo nella migliore delle maniere esce una compilation, sia in cd che formato digitale, riempita con venti tracce che meglio rappresentano la filosofia vitale della label franco-tedesca capeggiata da Romain Favre alias Moog Conspiracy. Minimal-techno vista e rivista in molte delle sue sfaccettature mediante brani di molti artisti entrati nel roster: dal citato Moog Conspiracy a The Free Electric band, da Harnessnoise a Dark Machines, da Voodoo J a Humantronic transitando per Pete Nouveau, Alex Tomb, Digital Filth, Flavio Lodetti, Cletto Arrighi e i fratelli Lucio & Pep. Auguri Elektrotribe.
-Medio Mutante “Inestable” (Cititrax): decisamente interessante il secondo vinile messo in commercio dalla newyorkese Cititrax. Prodotto dal trio (a me sinora sconosciuto) dei Medio Mutante (José Cota, Mariana Saldaña, Seth Nemec), “Inestable” è un maxi-ep che ruota intorno ala new-wave europea degli anni ottanta, scaturita da equipments rigorosamente analogici. Sei le tracce, in cui riscopriamo (con piacere) un pò di pura vintage-electro, a volte italo col basso ottavato (“Inestable”), altre più ombreggiata e vicina al suono gotico dei Kirlian Camera (“Frozen Cities”, “17 Años”). Attraversando le parti vocali in spagnolo di “Another Land” poi si raggiungono sponde più linde ed attualizzate mediante un suono alla Miss Kittin & The Hacker (“Corre Corre”) e comunque molto vicino al mondo dei primi Gigolo. A chiudere è la romantic-wave impressa in “Ãœberbeast” paragonabile a certe cose dei The Rorschach Garden.
-Kuniyuki Takahashi “Remixed” (Mule Musiq): remix-collection per il nipponico Takahashi: a snodarsi è un lungo tragitto fatto di suoni orientali alla Sakamoto, di afro alla Baldelli, di post-rock, di musica da camera alla Brian Eno, di new-age, di disco 80s, di funk, di electroboogie, di battiti elettronici, di ritmi techno, di fusion. Alcuni dei brani già racchiusi in “All These Things” ricompaiono nelle inedite versioni di A Mountain Of One, Theo Parrish, Henrik Schwarz, Tony Lionni, Cobblestone Jazz, Château Flight e dello stesso Takahashi (la mia preferita in assoluto è “Earth Beats”, riletta dai francesi Château Flight). In mezzo a tutto ciò anche una gradita novità , “Rain Of Ocean”.
-Savas Pascalidis “Vapors/Rich Hot Teen” (Figure): il tedesco di origini elleniche colpisce ancora. Per l’esordio sulla label di Len Faki, Pascalidis riserva una traccia che non divide molto con le sue trascorse esperienze (in primis su International Deejay Gigolo) visto che “Vapors” è essenzialmente minimale seppur snodata su un bassline che nel corso della stesura tende a smorzarsi, riprendendo fiato, ed incresparsi nuovamente. Meno gridato invece il lato b, “Rich Hot Teen”, tech-house moderna influenzata dall’attuale trend tedesco che tende a spostare il baricentro dell’attenzione su frangenti deep e dub. Chi preferisce il digitale potrà trovare (e provare) anche “Low”, un buon tool dall’ipnotismo marcato da un basso che ricorda i vecchi Lasergun ed un ritmo loopato molto disco. Gli amanti del vinile, invece, verranno ricompensati da una copertina che graficamente ricorda molto lo stile di Otto Dix e della Neue Sachlichkeit.
-Bumper “Never Stop/You Look So Good” (MDEX): Geoffrey Tonkens ed Ingmar Pauli nuovamente all’attacco con il loro personalissimo stile nato dalla vicinanza tra electro e funky-disco. Noti per una sequenza memorabile di produzioni su etichette di tutto rispetto (in primis Viewlexx e Clone), realizzano, mediante “Never Stop”, una nuova impersonificazione del funk elettrico, molto simile a ciò che spesso pubblica l’inglese 20:20 Vision. Lievemente più seriosa è “Erotic Village”, incentrata su suoni meno luminosi. Stella splendente del nuovo MDEX (sulla quale il duo ritorna a quattro anni di distanza da “Tuff Groove/Detroit”) è sicuramente “You Look So Good”, in cui bassi slappati e vocoder del tutto simili ad “Everybody Fonki” (2006) spadroneggiano alla grande. Di minor impatto invece il remix di Deepchild, influenzato dal distorsore e diretto da un ritmo saltellante tagliato, ancora, dal vocoder.
-Ninfa “Stereo Desire” (Hypotron): dopo aver militato, negli anni novanta, in gruppi come Avvoltoi e Sciacalli, incide l’album da solista “Top Sensation” (ispirato da una vecchia pellicola osè con Edwige Fenech) nel 2003, in pieno periodo electroclash. A cinque anni rieccola con un secondo lp, realizzato per la Hypotron (appartenente al gruppo bolognese Irma) e sensibilmente vicino al mondo del djing. “Stereo Desire” infatti, così come riporta l’info-sheet, è intriso di elettronica e di rock, ammiccando l’occhio (e l’orecchio) al suono indie inglese o, per rimanere in Italia, alle scorribande energiche di Tying Tiffany (il paragone sembra ancor più azzeccato visto che si tratta in entrambi i casi di donne). Distorsioni, beats claustrofobici ed attitudini glammy-rock a volte accostabili a certe cose che in passato hanno proposto Miss Kittin, Fischerspooner o Neonman, sono le linee guida di “Stereo Desire”, contenitore di dodici tracce di grande effetto. Alcune decisamente rock, altre più inclini alla dance, ma comunque ricche di vigore ed energia. Tra le più intriganti “Bomb Nicotine” ed “I Like You”.
-Cosmic Force “Uncompromised” (Crème Organization): la label di TLR resta (per fortuna) un punto fermo della produzione europea alternativa alla classica frittura di loops tedeschi. Senza compromessi è anche il nuovo di Ben Spaander alias Cosmic Force, altro membro statuario della piccola-grande scena che si sviluppa da anni tra Rotterdam e Den Haag e che nutre, senza intervallo, una passione quasi smodata per l’electro americana e per la vecchia italodisco. Quattro le tracce, di cui una prodotta insieme a Keith Tucker degli Aux 88, di puro suono selvaggiamente analogico, a volte tangente l’industrial e a volte le sincopi dell’hip-hop anni ottanta. Brani senza tempo, caratterizzati da un’impronta piuttosto gotica che frequentemente tinge di nero le releases di questa coraggiosa label.
-Andreas Herz “Ego & Psycho” (MinimalRome): tra le realtà italiane meglio affermate ed appartenenti ad un certo tipo di elettronica che non vuole mischiarsi alla sterile omogeneizzazione di stili, la MinimalRome rilascia l’atteso album di Andrea Merlini: se attraverso Kobol Electronics aveva proposto un’alternativa (italiana) al suono robotico di Donald e del compianto Stinson adesso, mediante Andreas Herz, lascia filtrare una composizione più tenue nei colori armonici, più deep ed intimista, sebbene non manchino esempi di sferzante vigore come “Sinister”. Per il resto l’album offre lo spaccato di un’electro puritana, che tiene conto delle esperienze kraftwerkiane e di tutto ciò che è venuto dopo, passando dalla citata scuola anfibia di Detroit (Drexciya, Cybotron), dai suoi derivati (Der Zyklus, Heinrich Mueller, Arpanet) sino a rivisitazioni europee (It & My Computer, Legowelt, Le Syndicat Electronique, Kassen). Soltanto 300 le copie disponibili.
-Twilight Moose “Embrace The Loneliness” (Strange Life Records): inaugurando un (ennesimo) nuovo pseudonimo, l’instancabile Danny Wolfers riappare sulla propria Strange Life attraverso un emozionante album fatto essenzialmente di suono electro, immerso ora nelle atmosfere spaziali, ora nelle ritmiche meccaniche del primordiale suono elettronico di Detroit. Ben quindici i brani a nostra disposizione, tra qui si rintraccia “Space Boats”, ottima electro liquefatta e sorta dal mix tra una colonna sonora di film polizieschi anni settanta ed un horror, “Pacific Bay”, in cui scopre la classica vena analogica (Tr-808, MS-20, ARP 2600), “Moose Hiking”, tanto aderente alla ‘scuola’ di Stinson e Donald, “Juneau Keeps On Raining”, un sogno vintage cullato da melodie epiche, e “Moosacula”, pura dark-electro in stile Bunker. Il tutto su cdr, avvolto nell’artwork di Kongshuttle.
-dan MELA “Compost Black Label #37” (Compost): nasce in Canada, inizia la carriera da dj nel 1987 e poi si trasferisce in Italia dove promuove una corrente musicale parallela alla house collaborando con Claudio Coccoluto e i Pastaboys. Oggi dan MELA incide il suo primo Compost facendo riferimento alle proprie origini fatte di soul, jazz, funk e, naturalmente, house. “Jazzy Juice” è esattamente il brano che riesce ad abbracciare tutto ciò rendendolo impareggiabile e decisamente elegante. Sul lato opposto “INNdeep” (dedicata ad un noto negozio di dischi italiano dove lavora tuttora) in cui segue più da vicino la deep-house, genere in cui la branca Black Label della label di Michael Reinboth ha identificato, negli ultimi tempi, il percorso da seguire.
-Mirror Music “The Strange Things I’ll Remember” (Darkroom Dubs): Mirror Music è il nuovo progetto nato dalla sinergia tra Dave Donaldson e Graeme Reedie dei Silicone Soul, già adorato e supportato da Laurent Garnier, John Digweed e Ben Watt. La loro è una house dal retrogusto cinematico, a volte quasi dub-reggae, altre nu-funk e cosmic-pop. Undici le tracce a nostra disposizione, quasi tutte permeate da sottili vene ambient seppure articolate sui classici movimenti quaternari della dance. A persuadermi di più sono “Rack And Ruin”, “Gravity Groove” e “Fun”.
Electric greetz